Orologio siderale

Orologio siderale

L’orologio siderale è un regolo che permette di convertire l’ora che usiamo tutti i giorni (solare o legale) in ora siderale. Se volete capire meglio questi concetti potete approfondire il funzionamento dell’orologio siderale qui e dell’ora siderale qui.

Questo lavoro nasce dal primo prototipo progettato e costruito da Valerio Versari un nostro carissimo amico del Gruppo Astrofili Forlivesi. Il nostro prototipo ha aggiunto dei meccanismi e un movimento di un orologio per rendere autonomo il movimento della scala delle ore.

La scala intermedia che contiene la longitudine dell’osservatore e l’ora attuale deve fare un giro completo in un anno. Per far ruotare questa scala si usa il movimento della lancetta delle ore collegata ad una serie di ingranaggi per rallentarne la velocità a quella desiderata.

Per capire il rapporto giusto tra la lancetta delle ore che ruota 2 volte al giorno e la scala dell’orologio siderale calcoliamo quanti giri compie la lancetta delle ore in un anno :

365gg/anno * 2giri/gg = 730giri/anno

Perciò dobbiamo demoltiplicare 730 giri in un anno della lancetta in 1 giro all’anno della scala del nostro orologio. Gli ingranaggi stampati sono rispettivamente*:

  • 2x 100denti, 10 denti
  • 1x 73 denti, 10 denti
  • 2x 10 denti

L’intero progetto è stato prima disegnato con Fusion 360 per disporre e dimensionare tutti gli ingranaggi e le parti in legno. Una volta stampati gli ingranaggi e inciso e tagliato il legno al laser si procede con l’assemblaggio e la lucidatura del legno.

Makers ITIS Forlì: https://www.makers-itis-forli.it 

*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.

Riparazione oggetti casalinghi con la stampante 3D, SCOLAPIATTI

Riparazione oggetti casalinghi con la stampante 3D, SCOLAPIATTI

Inizia la nuova stagione di riparazione degli oggetti casalinghi con la stampante 3D !!
L’oggetto in questione è lo scolapiatti della cucina, un sostegno si è incrinato e per evitare di ritrovarmi a terra tutti i piatti ho deciso così di modificare il sostegno.

Materiali:

  • Barre in alluminio – Dm:10mm
  • Supporti stampati in 3D (blu)
  • Bulloneria varia

Progettazione supporti stampati in 3D

Per la progettazione dei supporti dello scola piatti, ho utilizzato Fusion360 per la sua semplicità d’utilizzo.

Avvio stampa supporti

Dopo aver progetto tramite Fusion360 i supporti ed averli esportati in STL, è il momento di preparare il file per la stampante 3D.
Il disegno creato viene inserito nel software slicer Cura per poi creare un file g-code.

Supporti stampanti in 3D per sorreggere lo scolapiatti

Montaggio del nuovo scolapiatti

Ora è il momento di togliere tutte le stoviglie e smontare lo scolapiatti dal mobile. Successivamente prendere la misura della lunghezza delle barre in alluminio da tagliare considerando però l’ingombro del supporto stampato.

Dopo aver tagliato le barre a misure, bisogna inserirle nell’apposito spazio dello scolapiatti ed improntare già alle estremità i supporti blu stampati.

Scolapiatti con barre in alluminio

Una volta prese due misure dove vanno collocati, gli smonto dalle barre e con la bolla controllo che siano tutti orizzontali, quindi faccio i fori per avvitare le viti da legno nel mobile.

Infine prendo lo scolapiatti con le barre in alluminio già inserite, e se tutto va bene, lo calo dall’alto e lo stringo al supporto inferiore blu ,già fissato al mobile , tramite un coperchio e due bulloni.

Ecco a voi il risultato finito, aggiorno l’articolo a quattro mesi di distanza dicendo che ancora regge la modifica fatta allo scolapiatti.

 

                   Montaggio finto dello scolapiatti

Makers ITIS Forlì: https://www.makers-itis-forli.it 

Stendino (o mensola) con materiali di riciclo

Stendino (o mensola) con materiali di riciclo

Buttare qualcosa fa sempre male. Per un motivo o un altro, buttare un mobile, un giocattolo o qualcosa con cui si è passato tanto tempo non è piacevole se non quando viene effettivamente rimpiazzato per un suo difetto.
Qui voglio mostrare come con materiali che avrei diversamente buttato ho creato uno stendino da muro per asciugare i panni.*

Materiali:

  • assi di pallet (vedi qui come disassemblare un pallet)
  • vecchi assi per appendere le grucce (possono andare bene anche dei vecchi manici di scopa)
  • Viti da legno
  • Viti da muro con tasselli
  • Staffe (o altro legno per sostituirle)

Strumenti:

  • Seghetto
  • Trapano
  • Colla vinilica
  • 2 Morsetti

Progettazione dello stendino

L’idea è quella di usare le assi di legno come travi di supporto per gli assi su cui si andranno a stendere i panni. Su di esse verranno fatti degli scassi, nel mio caso con sega manuale, in cui si inseriranno gli assi.
Il tutto verrà fissato al muro con delle staffe avvitate alle travi. Nel mio caso le staffe saranno stampate in 3D in ABS, ma è facile trovare staffe da muro adatte in un qualsiasi ferramenta.

Gli assi da pallet a mia disposizione sono spessi 28 mm ma gli assi che utilizzerò sono da poco più di 1 metro e mettendone 3 ho ritenuto insufficiente usare solo 2 assi da 28mm per questioni di peso che supporterà lo stendino, quindi raddoppierò.

Preparazione delle parti

La prima cosa che ho fatto è stato tagliare a misura (nel mio caso 400mm) gli assi di legno per un totale di 4 pezzi.

Questi pezzi verranno incollati a coppie, con colla vinilica, così da ottenere uno spessore maggiore. Per garantire la presa della colla, l’ho spalmata sulle facce che andranno in contatto e tenute unite fino ad asciugatura con 2 morsetti (se ne avete di più è meglio).

Poi mi sono dedicato al disegno, al calcolo FEM e alla stampa della staffa.

L’ultimo passaggio prima di assemblare il tutto è quello di eseguire degli scassi con un seghetto o simile nelle travi (dopo che la colla sarà asciutta) così da creare la sede di appoggio per gli assi sui cui si stenderanno i panni. Diversamente si potrebbero fissare con delle viti.

Assemblaggio dello stendino

Per praticità consiglio come primo passaggio di fissare le staffe alle travi con le viti da legno. Prendere poi le misure precise per definire la posizione delle travi e segnare dove forare il muro nota la posizione della staffa.
Quindi forare il muro e mettere i tasselli. Mettere in posizioni le travi e avvitarle al muro ed in fine mettere in posizioni gli assi dello stendino

Stendino (o mensola) con materiali di riciclo

Idee alternative

In modo analogo è possibile creare delle mensole con lo stesso legno ricavato da un pallet, l’unica accortezza in più in questo caso è quella di pulire bene il legno ed evitare che si creino schegge.

Makers ITIS Forlì: https://www.makers-itis-forli.it 

*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.

Metodo degli elementi finiti

Metodo degli elementi finiti

Ogni qual volta si debba dimensionare correttamente un componente è necessario fare dei calcoli, più o meno complessi a seconda del problema. Solitamente, maggiori sono le dimensioni di un corpo, maggiori sono le variabili che lo interessano e quindi fare i conti manualmente risulta impossibile. Per questo motivo si cerca di semplificare il problema scomponendo il corpo in parti più piccole (metodi degli elementi finiti).
L’applicazione di un metodo come questo è detto discretizzazione.
Questo metodo è usato in quasi tutte le applicazioni ingegneristiche (insieme ad altri) per riuscire a eseguire delle simulazioni su corpi solidi o volumi di fluido.

Purtroppo per applicazioni ingegneristiche moderne questo metodo non è applicabile manualmente per ottenere valori affidabili.
Grazie ai calcolatori (i computer) si è in grado di eseguire milioni di calcoli anche molto complessi in tempi relativamente brevi.

Come usare il metodo degli elementi finiti

A seconda del tipo di problema, si semplificherà il corpo od il volume in modo diverso. Ogni problema ha le sue caratteristiche ma, per calcoli precisi, è necessario avere entità di dimensioni quanto più vicine alle entità del corpo (o volume).

Semplificazione Monodimensionale

La semplificazione più semplice, ma anche meno precisa, è quella di semplificare la geometria con delle linee.
Su ogni linea verranno risolte le equazioni caratteristiche del problema: se è un problema di sollecitazione statica, si determineranno gli sforzi normali e di taglio.
Per ogni segmento è necessario tenere conto anche delle sollecitazioni calcolate nei segmenti adiacenti ed una volta aver risolto le varie equazioni si conoscerà il comportamento del corpo o fluido.

Se si prende come esempio una trave con supporto, considerandola incastrata al suolo, la si andrà a semplificare rendendola un’insieme di linee di lunghezza uguale. Noto il tipo di vincolo, incastro, faro le varie considerazione per eseguire i calcoli su ogni linea.

Eseguiti i calcoli sarò in grado di determinare dove sono presenti maggiori sollecitazione sulla struttura nota la densità del materiale, la sua forma ed eventualmente un ulteriore carico.

Il problema del metodo a elementi finiti monodimensionale è che non si tengono conto delle altre 2 dimensioni spaziali. Questa modalità può trovare in piego solo per prime approssimazioni in casi di geometrie simmetriche e di sezione costante.

Semplificazione Bidimensionale

In questo caso, invece di analizzare delle linee su un piano, si analizzano delle superfici su uno stesso piano. Il problema risulta bidimensionale, quindi anche questo caso non rispecchia la realtà ma è una soluzione che può risultare utile in diverse applicazione.

Un esempio, in ambito CFD (Fluidodinamica Computazionale), è quando si vuole scegliere un profilo aerodinamico da utilizzare. In prima approssimazione si confrontano i profili in un problema bidimensionale in quanto è molto più veloce da analizzare rispetto ad un problema tridimensionale per avere una prima stima delle pressioni aerodinamiche.

In questo caso le superfici possono essere di diverso tipo ma le più usate sono triangoli o quadrilateri.
I primi si adattano meglio ai problemi con geometrie complesse, ma i quadrilateri danno risultati molto più affidabili e richiedono più calcoli.

Il reticolo di figure geometriche piane viene definito “mesh” (2D) e fa da base ad un’eventuale mesh tridimensionale usata in determinate condizione. La caratteristica principale di una mesh 2d è che ogni figura piana abbia un lato in comune con quelle adiacenti. Diversamente dal caso monodimensionale, i lati dei poligoni usati non sono tutti uguali, si cerca di avere poligoni più piccoli in prossimità dei punti che si vogliono studiare o geometricamente complessi e si ingrandiscono mano mano che ci si allontana da questi punti così da rendere i calcoli più veloci.

Semplificazione Tridimensionale

Essa è caratterizzata da una mesh 3D, ossia un insieme di corpi solidi. Questi corpi possono avere diverse forme a seconda del tipo di problema o algoritmo di calcolo usato. In molti casi complessi, come gli studi fluidodinamici in cui si analizzano grandi volumi, si utilizzano algoritmi molto avanzati, quindi pesanti per un calcolatore, e si tendono ad usare mesh costituite da solidi di diverse forme e dimensioni. Sempre con lo stesso criterio, piccoli in prossimità dei corpi o di dettagli e più grandi allontanandosi dai corpi o le parti da studiare.

Mesh 2D per la creazione di una mesh 3D per simulazione fluidodinamica
Mesh 3D su componente per la simulazione a sollecitazione

I calcoli

I calcoli, oltre a dipendere dal problema, dipendono anche dal programma utilizzato per eseguirli.
Approfondire i calcoli dei singoli programmi risulta molto complesso in quanto necessitano di conoscenze di alto livello e non sono tutti facilmente reperibili ma approfondiremo i principali problemi su come vengono svolti. In più, raramente si usa 1 solo metodo per eseguire i calcoli. Il metodo degli elementi finiti non è l’unico usato in questi ambiti e non è l’unico che utilizza una mesh.
Tutti questi metodi si rifanno alle equazioni fondamentali della fisica.

Applicazioni di tutti i giorni

Questo metodo non deve spaventare per la complessità. Esistono programmi, anche gratuiti, disponibili per chiunque che rendono simulazioni alle sollecitazioni molto semplici. La mesh viene generata in autonomia da un corpo ed è necessario solo aggiungere le forze e i vincoli.
Per chi “gioca” con la stampa 3D può essere uno strumento molto utile per dimensionare correttamente componenti che devono sopportare carichi come una staffa o un ingranaggio.

Cercatore laser

Cercatore laser

Progettiamo e costruiamo insieme un cercatore laser, un accessorio molto utile per I nostri telescopi.

Di solito il cercatore è un piccolo cannocchiale con un mirino che permette di puntare il telescopio sulle stelle di interesse.

Questo piccolo cannocchiale ha un campo visivo ampio ma non sempre è comodo da usare.

Comodità del cercatore laser

Il cercatore nei telescopi newtoniani si trova su un lato del corpo principale vicino al focheggiatore.

Se il telescopio punta una stella vicina all’orizzonte con l’oculare rivolto verso il basso guardare nel cercatore diventa un’impresa difficile.

Montiamo perciò con un supporto magnetico (sul corpo principale del telescopio) un laser che punterà gli oggetti di interesse.

Non servirà praticare nessun foro sul telescopio ne usare alcun foro preesistente perché la calamità collegherà saldamente il supporto al tubo principale.

Progettazione*

Usiamo il programma gratuito Fusion360 per disegnare la struttura del sostegno magnetico.

Il laser utilizzato ha una potenza di 500 mW ed è dotato di batteria al litio ricaricabile, chiavi di sicurezza, fuoco regolabile e caricabatteria.

Ha un corpo in alluminio anodizzato nero che permette di dissipare il calore prodotto dal laser.

Il supporto magnetico avrà una base lunga e stretta che andrà appoggiata alla cornice quadrata del focheggiatore. Questo permette un allineamento grossolano con il telescopio.

All’interno del supporto a 1.5 mm dalla base, si trova una cavità per la calamita. Consigliamo di usare una calamita al neodimio, nonostante le piccole dimensioni hanno una “grande “forza”.

Potete trovare le calamite al neodimio all’interno degli Hard Disk del computer.

Il supporto ha tre fori equidistanti nella parte posteriore del cilindro per le viti di regolazione della direzione del laser. Durante l’allineamento potranno essere ruotate per spostare il raggio luminoso.

Nella parte anteriore del cilindro c’è un’incisione interna per on o-ring di bloccaggio del laser, bisogna inserire l’o-ring attorno al laser e incastrare quest’ultimo all’interno del cilindro raggiungendo la scanalatura.

Se non avete un o-ring (che si trova in ferramenta) potete provare con un elastico della grandezza giusta.

La base del sostegno non è piatta ma ha una curvatura dello stesso raggio del corpo principale del telescopio.

Costruzione

Finito il disegno su Fusion360 si esporta il disegno in formato .stl sullo slicer Cura. Il riempimento è 100% e tramite la funzione Support Blocker si rimuovono i supporti dalla cavità interna per la calamita.

Bisognerà fermare la stampa nell’ultimo layer superiore della cavità della calamita, ed inserire quest’ultima all’interno del supporto. Fatto ciò si continua con la stampa.

Per questa stampa si possono usare solo ugelli di ottone per evitare che la calamita si attacchi all’ugello.

Il laser monta anche un piccolo anello elastico per bloccare il pulsante di accensione.

Con questo accessorio vi basterà accendere il laser (opportunamente allineato con il telescopio) e puntare l’oggetto di interesse ad occhio nudo.

Il laser sembrerà toccare con il proprio raggio l’oggetto puntato, una volta raggiunto si potrà spegnere e godersi lo spettacolo dall’oculare del telescopio.

Per altri articoli di astronomia date un’occhiata QUI

Makers ITIS Forlì: https://www.makers-itis-forli.it 

*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.

Sintesi dell’alcol polivinilico

Sintesi dell’alcol polivinilico

La sintesi dell’alcol polivinilico (PVA) può essere facilmente riprodotta* con materiali di semplice reperimento a costi molto ridotti.

Il PVA è un polimero sintetico biodegradabile che si ottiene dalla reazione di idrolisi del polivinilacetato (PVAc).

Solitamente i polimeri sintetici si producono da reazioni di polimerizzazione cioè dove i monomeri si uniscono formando una macromolecola, perciò la sintesi del PVA è un’eccezione.

I due chimici tedeschi Herrmann e Haehnel fecero la prima sintesi del PVA per idrolisi nel 1924.

Sintesi dell’alcol polivinilico

Per sintetizzare il PVA dobbiamo recuperare i reagenti da prodotti di uso comune.
Il primo reagente è la colla vinilica… si avete capito bene proprio quella che usa Giovanni Muciaccia di Art Attack! La colla vinilica è una emulsione di acetato di vinile in acqua al 53%.

Per avere una resa migliore dobbiamo separare il polivinilacetato in una polvere solida, useremo il solfato di sodio come agente coagulante per rompere l’emulsione e ottenere il PVAc.

Il solvente per la reazione è l’etanolo o alcol etilico. Può essere usato sia quello per uso alimentare del supermercato oppure l’alcol decolorato che sappiamo preparare in lab.
L’etanolo è una sostanza infiammabile perciò non vanno utilizzate fiamme libere durante la reazione.

Il catalizzatore per la reazione di idrolisi è l’idrossido di sodio NaOH o soda caustica che si trova in scaglie dal ferramenta. È una base forte, corrosiva che produce calore se solubilizzata perciò va maneggiata con molta cura.

È estremamente importante usare i DPI (guanti, occhiali, camice) e condurre la reazione in un luogo arieggiato, privo di fiamme libere, lontano da materiale infiammabile.

reazione di sintesi dell'alcol polivinilico

Separazione PVAc dalla colla

In un pallone da 500mL mettiamo 100g di solfato di sodio, 250mL di acqua e 25 mL di etanolo. Quando il sale sarà sciolto mettiamo goccia goccia nel pallone 1g di H2SO4 concentrato sotto agitazione.

Quando la soluzione coagulante è pronta aggiungiamo poco alla volta 100g di colla vinilica portando l’agitatore magnetico alla velocità massima.

Dopo 30 minuti a 40°C lasciamo raffreddare la soluzione e spegniamo l’agitazione magnetica.
La soluzione si separerà in tre fasi: sul fondo la polvere di PVAc, in mezzo la fase acquosa contenente il sale ed in cima una schiuma contenente l’emulsionante.

Filtriamo la soluzione coagulante (che può essere riutilizzata per coagulare altra colla) e sciacquiamo a parte con acqua distillata la polvere di PVAc ottenuta.

Il PVAc risciacquato con acqua formerà una dispersione difficile da filtrare (quasi impossibile), munirsi di molta pazienza e molto tempo per l’asciugatura (magari con un forno a 40°C).

Idrolisi del PVAc in PVA

Solubilizziamo 0.5g di NaOH con il minor quantitativo di alcol possibile (non oltre 20 mL).

In un pallone da 500 mL poniamo 180 mL di etanolo e 5 g di PVAc. Portiamo a 70°C sotto vigorosa agitazione magnetica. Solubilizzato tutto il PVAc (circa 24h) versiamo la soluzione di NaOH preparata precedentemente.

Se il PVAc fatica a solubilizzarsi aggiungere 100mL di acetone nel pallone.

Teniamo a riflusso per almeno 45 minuti. Con il procedere della reazione si forma una dispersione di piccoli fiocchi di PVA poco solubili in alcol perciò la soluzione comincerà ad intorbidirsi.

Conclusa la reazione si filtra con imbuto e carta da filtro, recuperando il precipitato (polvere solida rimasta nel filtro).

La polvere di PVA ottenuta va fatta asciugare in forno a 60°C per una notte e conservata in contenitori ermetici e privi di umidità.

Dopo la sintesi dell’alcol polivinilico possiamo eseguire qualche analisi per verificare la corretta riuscita della sintesi. Se volete sapere come cliccate QUI.

Applicazioni

Il PVA è solubile in acqua perciò è utilizzato in molti ambiti in cui altri polimeri sintetici non possono essere utilizzati.

La proprietà fisiche del polimero prodotto dipendono dal grado di idrolisi ottenuto durante la reazione. Per esempio la solubilità in acqua aumenta drasticamente per gradi di idrolisi superiori al 90%.

L’alcol polivinilico viene aggiunto agli adesivi come agente addensante inoltre si usa nella produzione della carta patinata ed inkjet.

Il PVA è anche utilizzato come agente distaccante per manufatti in vetroresina, stampaggio ad iniezione e antiadesivo per materiali epossidici.

I solventi organici non attaccano il PVA ed è anche impermeabile ai gas perciò ha ottime proprietà barriera.

L’alcol polivinilico è impiegato insieme ad altri polimeri negli imballaggi, nei guanti e nelle bottiglie come strato barriera.

I supporti di stampa in PVA per i manufatti 3D possono essere sciolti in acqua a fine processo semplificando il lavoro dei Makers.

Il PVA compone alcuni film idrosolubili che usiamo tutti i giorni come la capsule per detergenti (lavastoviglie e lavatrici), sacchetti per additivi per cementi, sacchetti per lavanderia e molto altro.

L’alcol polivinilico ha applicazioni in campo farmacologico come mezzo di rilascio per principi attivi.

Il processo di elettrofilatura o electrospinning impiega soluzioni acquose di PVA per la produzione di nanofibre che compongono membrane di interesse biomedico.

*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.

Makers ITIS Forlì: https://www.makers-itis-forli.it 

Scatto remoto per cellulari

Scatto remoto per cellulari

Innanzitutto cos’è uno scatto remoto per cellulari, a cosa serve?
Uno scatto remoto è un telecomando che serve per scattare foto e registrare video senza toccare il cellulare.

È uno strumento molto utile sia in fotografia che in astrofotografia che permette di catturare immagini e video senza il rischio di far vibrare l’intera apparecchiatura.

Tecnologie, pro e contro

Esistono diverse tecnologie usate per gli scatti remoti per cellulari : mediante filo collegabile al jack delle cuffiette, mediante Bluetooth, ecc… Ognuno di questi ha dei pregi e dei difetti che vanno valutati a seconda dell’utilizzo che se ne vuole fare.

Scatto remoto per cellulari

Uno scatto remoto per cellulari Bluetooth ha la comodità di non avere nessun filo di intralcio, inoltre ha delle distanze di funzionamento generose. L’inconveniente è la stabilità del segnale wireless (tra il telecomando ed il cellulare) che potrebbe venir meno, impedendo lo scatto delle foto e la ripresa video.

Lo scatto remoto con filo non ha problemi di affidabilità, ogni volta che si preme il pulsante il cellulare riprende l’immagine. L’unico inconveniente è la lunghezza del filo che può limitare la distanza da cui si esegue lo scatto e limitare i movimenti del fotografo.

Costruiamo uno scatto remoto per cellulari*

Di seguito costruiamo uno scatto remoto basandoci su un cellulare Samsung con attacco jack per le cuffiette (TRRS) .

La prima cosa da fare è di attivare sulle impostazioni del cellulare lo scatto con i tasti del volume

Successivamente possiamo procedere in due modi: attacchiamo le cuffiette al cellulare e scattiamo le foto premendo i tasti del volume sulle cuffiette (fine del divertimento), oppure costruiamo un nostro scatto remoto personalizzabile con un filo di lunghezza a piacere.

Se hai optato per la scelta DIY avrai bisogno di:

2 resistenze da 33 OHM (1/4W)
1 resistenza da 470 OHM (1/4W)
1 pulsante (push button switch Normalmente Aperto)
1 cavo con connettore TRRS (jack 3.5mm) lungo a piacere
nastro isolante o guaine termo-restringenti (per isolare i collegamenti)
saldatore e stagno

La strategia alla base di questo scatto remoto è di imitare il tasto volume delle cuffiette. Per fare questo bisogna collegare le resistenze e il pulsante come riportato nello schema seguente.

Il filo audio collegato al jack TRRS da 3.5mm sarà formato da 4 fili molto sottili con gli stessi colori indicati nello schema, per poterli saldare alle resistenze occorrerà bruciare con un accendino lo smalto isolante colorato presente sull’estremità.
Durante questo passaggio bisogna fare attenzione a non applicare troppo calore per non bruciare l’intero filo.

Tutti i collegamenti sono saldati con il saldatore a stagno ed isolati opportunamente con guaine termo-restringenti. Prima di collegare lo scatto remoto al cellulare assicurati di aver collegato correttamente tutti i componenti aiutandoti con un tester in funzione “continuità”.

Terminati i collegamenti riponi tutto dentro un piccolo contenitore (noi abbiamo riciclato il guscio dei tasti di un paio di cuffiette rotte) e assicura il tutto con colla e fascette.

Conclusioni

Ora che hai costruito il tuo scatto remoto puoi usarlo in mille modi diversi, noi Makers lo useremo per fare astrofotografia e montato su una stampante 3D per fare degli scatti per i timelapse. Aggiungi ai commenti i tuoi possibili utilizzi per questo fantastico accessorio.

*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.

Makers ITIS Forlì: https://www.makers-itis-forli.it 

Maschera di Bahtinov con stampa 3D

Maschera di Bahtinov con stampa 3D

Quando puntiamo un corpo celeste come una stella vogliamo essere sicuri di aver messo correttamente a fuoco e cogliere l’immagine senza problemi. Per questa esigenza ci viene in contro un oggetto tanto semplice quanto geniale: la maschera di Bahtinov. Questa maschera è un dispositivo che aiuta a mettere a fuoco con facilità e precisione gli oggetti osservati con un telescopio.

Le maschere per la messa a fuoco sono dei cartoncini opachi con dei fori o delle fenditure che si mettono davanti all’apertura del telescopio e che creano delle figure particolari nell’immagine in uscita dall’oculare.

Storia e funzionamento

L’inventore è un astrofotografo di nome Pavel Bahtinov che perfezionò maschere già esistenti( maschera di Hartmann ) ispirandosi ai fenomeni di diffrazione. Quando le maschere hanno fori poligonali (es. buchi triangolari) l’immagine che si ottiene produce dei raggi o spike radiali all’oggetto. Se gli spike sono sottili e simmetrici allora l’oggetto è perfettamente a fuoco.

Il principale problema con le maschere esistenti era la scarsa intensità dei raggi e la conseguente difficoltà a mettere a fuoco i corpi celesti. Il problema viene risolto da Bahtinov con una maschera divisa in tre settori. Ogni settore presenta una serie di fenditure rettangolari regolari: il primo settore occupa metà maschera, gli altri due sono inclinati di ± 40° e occupano rispettivamente un quarto della maschera.

Maschera di Bahtinov con stampa 3D
maschera di Bahtinov
visione di una stella con maschera di bahtinov

L’immagine di una stella vista con il telescopio che monta la maschera di Bahtinov consiste in tre raggi che si intersecano: il primo raggio (principale) e due raggi a forma di X (secondari). I tre raggi devono intersecarsi nello stesso punto ed essere sottili. Il punto di intersezione rappresenta il corpo celeste di interesse messo perfettamente a fuoco.

Progettazione 3D della maschera di Bahtinov

*Per ottenere questo utile strumento per la messa a fuoco non occorre una spesa esorbitante o degli attrezzi stravaganti, basta semplicemente: un cartoncino nero da disegno, una matita, un righello e un paio di forbici.

Si disegna la maschera (GENERATORE MASCHERE GRATIS Emout.Shop) sul cartoncino e si ritagliano tutte le fenditure e i contorni con le forbici stando attenti ad ottenere tagli netti e puliti. Questo lavoro però richiede una pazienza non indifferente perciò vi proponiamo un modo alternativo, stampare la maschera in 3D .

Innanzitutto si immettono i parametri nel generatore di maschere (GENERATORE MASCHERE GRATIS Emout.Shop) e si genera l’immagine desiderata che viene esporta in formato SVG sul computer con l’apposito tasto. Si apre il software di modellazione grafica 3D(es. Fusion 360 ) e si importa su uno schizzo l’immagine SVG precedentemente scaricata.

Si estrude lo schizzo di uno spessore di almeno 1 mm e si esporta l’intero progetto come mesh STL da inviare allo slicer per la stampa 3D (es. CURA). Si stampa l’oggetto in PLA nero e una volta pronto si pone all’entrata del telescopio.

Intervista a Pavel Bahtinov

Makers ITIS Forlì: https://www.makers-itis-forli.it 

*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.