Storia della meccanica quantistica

Storia della meccanica quantistica

Ripercorriamo la storia della meccanica quantistica affrontando gli esperimenti, i paradossi e le idee che hanno cambiato il mondo della fisica.

Dal corpo nero al principio di indeterminazione

Cos’è la fisica quantistica? Perché ci appare così oscura? Perché è nata?
Tutto ebbe inizio negli anni a cavallo tra il XIX e il XX secolo, quando i fisici classici iniziarono ad osservare il mondo microscopico.
Inizialmente tentarono di utilizzare la fisica classica per spiegare i comportamenti delle particelle a livello atomico e subatomico, ma con scarsi risultati.
Essi, infatti si resero conto che, nonostante la fisica newtoniana fosse adatta a descrivere i fenomeni a livello macroscopico, la sua applicazione nel microcosmo causava alcune perplessità.

Lo spettro del corpo nero

Il primo limite dell’approccio classico si deve ai due fisici Rayleigh e Jeans, i quali tentarono un’interpretazione classica dello spettro di emissione del corpo nero.
Quest’ultimo è un oggetto ideale di riferimento in grado di assorbire tutta la radiazione incidente indipendentemente dalla lunghezza d’onda e dalla direzione. Nessuna superficie può emettere più di un corpo nero a temperatura e lunghezza d’onda fissata ed è un emettitore diffuso.

spettro del corpo nero

Negli ultimi anni dell’Ottocento, i due scienziati notarono che la relazione trovata rispecchiava le osservazioni sperimentali* a basse frequenze ma restituiva un risultato paradossale per alte frequenze detto catastrofe ultravioletta ( secondo le leggi della fisica classica la radiazione emessa sarebbe dovuta aumentare con la frequenza ).


A risolvere tale problema fu Planck, il quale teorizzò che gli oscillatori ideali di cui erano composte le pareti del corpo nero non potessero emettere energia in maniera continua, come teorizzato dalla fisica newtoniana.
Egli propose un modello secondo cui l’energia poteva essere emessa solamente in maniera discreta tramite pacchetti “QUANTI” di energia, secondo la legge:

formula di Planck
ritratto Max Planck

Nonostante Max Planck introdusse il concetto della quantizzazione del mondo microscopico, giustificò la sua scelta come un puro espediente per “far tornare i conti” privo di alcun significato fisico

“È solo un artificio matematico”

M.Planck

Effetto fotoelettrico

Ulteriori discrepanze si notarono nell’effetto fotoelettrico.
Esso consiste nella sollecitazione di una lastra metallica mediante luce a una determinata frequenza.

Sperimentalmente si osservò che l’aumento della frequenza aumentava l’energia cinetica degli elettroni espulsi dalla superficie del metallo e l’intensità luminosa ne aumentava solo il numero.

ritratto Albert Einstein

Dunque Einstein, in seguito allo studio di tale fenomeno ipotizzò la quantizzazione della radiazione elettromagnetica!
Secondo tale ipotesi la luce è costituita da particelle dette FOTONI, aventi energia direttamente proporzionale alla frequenza secondo la legge teorizzata da Planck. Per la prima volta l’approccio quantistico si dimostrò essere un valido strumento fisico e non solo un espediente matematico per risolvere i problemi del corpo nero.

Modello atomico di Bohr

L’approccio discreto venne utilizzato anche dallo scienziato Niels Bohr per risolvere il paradosso del modello atomico di Rutherford per il quale l’elettrone collasserebbe sul nucleo centrale di carica opposta perdendo energia attirato per la forza di Coulomb.

ritratto Niels Bohr

Bohr impose la quantizzazione del momento angolare dell’elettrone orbitante attorno al nucleo. Secondo questo nuovo modello atomico gli elettroni giacciono attorno al nucleo solo su precise orbite e per muoversi da una all’altra devono assorbire o emettere una quantità di energia discreta. Le formule ricavate dallo scienziato danese rispecchiavano le formule empiriche di Balmer e Rydberg e spiegavano le osservazioni delle linee di emissione e assorbimento negli spettri.

Il modello di Bohr venne ulteriormente verificato dall’esperimento di Frank ed Hertz che riuscirono a misurare lo scambio energetico tra un fascio di elettroni e atomi di mercurio. Dalle misure eseguite osservarono un preciso valore di energia ceduta dal fascio di elettroni agli atomi di mercurio che corrispondeva ad una precisa transizione tra due orbite atomiche.

Scattering Compton

Il comportamento discreto delle radiazioni elettromagnetiche venne osservato da Arthur Compton attraverso un fenomeno di diffusione (scatterning Compton). Lo scienziato bombardò un bersaglio di grafite con un fascio di raggi X e si rese conto che venivano emessi una certa quantità di raggi X a frequenza minore. La frequenza dei raggi diffusi dal bersaglio era indipendente dalla frequenza della radiazione incidente e questo poteva essere dimostrato solo con un approccio quantistico. Compton immaginò la radiazione formata da particelle che urtando gli elettroni della grafite cedevano parte della propria energia. Dall’interpretazione di questo esperimento nacque il dibattito sulla dualità onda-particella.

Dualismo onda particella dell’elettrone

ritratto Louis De Broglie

Un ulteriore step nel campo della fisica quantistica venne fatto dal fisico francese De Broglie.
Egli propose analogie tra il fascio di elettroni e il fascio di fotoni, studiando il fenomeno della diffrazione di fasci elettronici.
Come ai fotoni si associano onde elettromagnetiche, così alla propagazione di elettroni si è associato un fenomeno ondulatorio.

Fu inoltre in grado di esprimere matematicamente la lunghezza d’onda di tali onde, dette onde di De Broglie:

formula di De Broglie

Equazione di Schroedinger

ritratto Erwin Schrodinger

Data la natura ondulatoria delle particelle, fu necessario introdurre un’equazione per lo studio della meccanica quantistica.
Si tratta dell’equazione di Schrodinger, proposta dall’omonimo fisico nel 1926 (sì, è proprio lo stesso Schrodinger che ha ideato il paradosso del gatto !!!).

Se vuoi approfondire l’argomento e riuscire a risolvere l’equazione di Schrodinger in modo semplice applicandola alla vita di tutti i giorni clicca QUI.


L’equazione completa risulta:

equazione d'onda di Schrodinger

Principio d’indeterminazione

ritratto Werner Heisenberg

La fisica newtoniana, dunque, non era più in grado di spiegare numerosi fenomeni atomici.
Si dovette abbandonare la visione deterministica del microcosmo per accogliere una nuova disciplina in grado di prevedere tali fenomeni.

Il grado di precisione arbitraria e sempre crescente che i fisici classici inseguivano, ben presto venne contestata da un principio che rivoluzionò la storia della meccanica quantistica.

Un importante contributo fu dato da Heisenberg, il quale propose il noto principio di indeterminazione che porta il suo nome:

principio di indeterminazione

Tale formulazione afferma che:


“non si possono misurare contemporaneamente con assoluta precisione le componenti della posizione e della velocità, o meglio della quantità di moto, di una particella di massa molto piccola lungo una direzione”.

W. Heisenberg

Questo principio sconvolse talmente tanto il mondo della fisica che rimase nell’immaginario comune come un simbolo di tale disciplina.

Ciò che ci insegna questo percorso nella storia della meccanica quantistica è di coltivare la nostra immaginazione e continuare ad avere una mente aperta a nuove idee.
Ci sono ancora molti interrogativi da risolvere, che possono sconvolgere tutte le teorie proposte fino ad oggi!

“Non bisogna sottovalutare il valore insostituibile dell’immaginazione e dell’intuizione nella ricerca scientifica. Superando con salti irrazionali il rigido cerchio entro il quale siamo costretti dal ragionamento deduttivo l’intuizione permette le grandi conquiste del pensiero.[…] Per tale ragione la ricerca scientifica è pur sempre un’avventura”

L. de Broglie


La storia della meccanica quantistica continua con molte altre scoperte e teorie entusiasmanti ma noi Makers ci fermiamo qui… per ora.

Curiosi

-La parola FOTONE venne introdotta solo nel 1926 dal chimico-fisico Lewis.
-Quando Niels Bohr vinse il premio Nobel , la Carlsberg lo volle ringraziare regalandogli una casa adiacente al birrificio, con un tubo che spillava birra direttamente in salotto.
J.J.Thomson scoprì l’elettrone come particella, G.P.Thomson (figlio di J.J.Thomson) scoprì le proprietà ondulatorie dell’elettrone. Entrambi vinsero il Nobel per le loro scoperte.
-Il dibattito sul dualismo onda-particella della luce è ancora aperto!
-Il termine “meccanica quantistica” venne usato per la prima volta da Max Born nel 1924.
Il gatto di Schroedinger si può salvare.

*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.

Davide Di Stasio
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Fotografia analogica, i principi chimici per noobs

Fotografia analogica, i principi chimici per noobs

La fotografia analogica, un tuffo nel passato che affascina sempre più giovani curiosi di sperimentare.

In un mondo ormai digitalizzato con gli smartphones sempre a portata di mano, fotografare è diventata un’abitudine per tutti.
La fotografia analogica sembra la scelta contro corrente degli hipster amanti del vintage, eppure sempre più giovani si avventurano in questo tipo di disciplina.

In questo articolo non staremo a disquisire i piaceri nascosti della fotografia analogica (sempre che ce ne siano davvero, bisognerebbe provare!) ma andremo dritti al sodo, per scoprire il piacere della chimica che sta alla base di ciò che per molti aveva del miracoloso: fissare sulla materia un’immagine.

Fotografia analogica, le basi chimiche!

*Click! Hai appena innescato un meccanismo sulla tua macchina fotografica che permetterà alla luce di penetrare all’interno e poter così impressionare la pellicola fotografica.

– Il supporto fotografico (la pellicola)

La pellicola è formata da diversi strati:

fotografia analogica, chimica, pellicola. Bromuro d'Argento

Strato superiore: un’emulsione di sali di alogenuro d’argento (alogeni possibili; cloro, bromo, iodio) sensibili all’esposizione luminosa e dispersi in una gelatina.

Strato inferiore: un supporto in cellulosa trasparente.

In questo esempio si parla di una pellicola bianco e nero, per le pellicole a colori sono necessari ulteriori strati per i pigmenti, rosso, verde e blu.

Arriva il fotone! La luce entra nella macchina fotografica e colpisce lo strato di alogenuro d’argento innescando una reazione a catena.

Prediamo l’esempio del bromuro d’argento AgBr:

Il bromo in forma anionica colpito dalla luce, cede un elettrone all’argento in forma cationica creando nel reticolo cristallino di AgBr alcuni atomi di Ag metallico.

Ag+ Br → Ag+ + Bro + e

Ag+ e → Ago

La struttura chimica ha ormai modificato i suoi equilibri, è stata creata un’immagine latente ancora invisibile. Dopo opportuno sviluppo chimico i punti esposti alla luce diventeranno più scuri.

– Lo sviluppo fotografico

La pellicola una volta esposta ed estratta dalla macchina fotografica (completamente al buio) viene immersa in soluzione chimica riducente. Durante la reazione si produce ulteriore argento metallico con una velocità maggiore nelle aree in cui sono già presenti atomi di metallo. Le aree con più argento metallico saranno visibilmente più scure.

Diventa visibile un’immagine! I cristalli non colpiti dalla luce non subiscono nessuna trasformazione, e restano sensibili alla luce. Andranno perciò eliminati successivamente nel processo finale di fissaggio.

Esistono altri spettri elettromagnetici oltre a quelli visibili, scopri di più in questo articolo: Fotografia ad infrarossi.

– L’arresto

La pellicola (sempre al buio) viene trattata con una soluzione acida che arresta il processo di sviluppo per evitare un eccessivo annerimento.

– Il fissaggio

La pellicola viene trattata con un ultimo reagente che permette di dissolvere l’alogenuro d’argento non reagito.

Il sale d’argento non è solubile in acqua viene così portato in soluzione con un bagno adatto come ad esempio il tiosolfato di sodio.

Una volta effettuati tutti questi processi con i giusti tempi di reazione e aver ben lavato la pellicola dalle sostanze chimiche avremo un negativo stabile che potrà essere esposto alla luce e magari successivamente sviluppato in stampa.

Fonti per approfondire:

Teoria: I processi chimici della fotografia

Pratica: Manuele di fotografia, camera oscura

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Riaccendere una candela a distanza

Riaccendere una candela a distanza

Si può riaccendere una candela a distanza? Sembra una domanda apparentemente sciocca ma che in realtà nasconde una serie di principi fisici e chimici che vi lasceranno a bocca aperta.

Combustione*

Le candele sono una manifestazione della combustione, una reazione chimica di ossidoriduzione tra due componenti: combustibile e comburente. La reazione di combustione è esotermica cioè produce calore, oltre a questo però si produce luce e prodotti di scarto. La reazione di combustione non parte in maniera spontanea perciò necessita di un innesco cioè una fonte di energia. Una volta innescata, questa reazione spontanea procede fino ad esaurire uno dei reagenti (combustibile o comburente).

La combustione è una reazione che ossida il combustibile e riduce il comburente. Se prendiamo come esempio la combustione degli idrocarburi (combustibile) in ossigeno (comburente) otterremo come prodotti l’anidride carbonica (CO2 ) in cui il carbonio è ossidato e l’acqua(H2O) in cui l’ossigeno è ridotto. Una rappresentazione schematica della combustione è il triangolo del fuoco.

Come funzionano le candele

Le candele sono sorgenti luminose formate da un filamento centrale di cotone intrecciato detto stoppino immerso in un combustibile che può essere della cera.
La cera dal punto di vista chimico è un insieme di esteri, acidi saturi e alcoli con catene da 14 a 30 carboni. Sono sostanze che sono malleabili a temperatura ambiente, si sciolgono a 45°C in fluidi a bassa viscosità. Le cere possono essere naturali o artificiali ma rimangono comunque sostanze idrofobe che formano strati idrorepellenti.

Lo stoppino ricoperto di cera viene incendiato, la cera evapora dallo stoppino e insieme all’ossigeno dell’aria alimenta la fiamma producendo luce e calore. Il calore della fiamma scioglie l’estremità superiore della candela che per capillarità mantiene lo stoppino imbibito di combustibile. La cera fusa viene trattenuta sulla parte superiore della candela da uno “scodellino” di cera solida raffreddata dalla corrente ascensionale di aria aspirata dalla fiamma.

Composizione dei fumi delle candele

La composizione dei fumi di una candela cambia con il passare del tempo. Teoricamente una combustione ideale produce acqua e anidride carbonica ma in realtà la reazione di combustione non ossida completamente il combustibile e crea dei sottoprodotti con stato di ossidazione meno elevato.

La combustione continua di una candela forma maggiormente anidride carbonica, vapore acqueo e particelle di sali inorganici. Lo stoppino disperde particelle di sali inorganici molto fini perché è ricoperto di ritardanti di fiamma che servono a far durare di più la candela.

Durante la fase di spegnimento della candela si liberano particelle grandi di materia organica non bruciata e fuliggine. Questo fumo costituisce una miscela potenzialmente infiammabile che sfruttiamo per riaccendere una candela a distanza.

Trasporto delle particelle nel fumo

Tutti i prodotti della combustione della candela sono trasportati verso l’alto dal meccanismo della convezione. La fiamma crea una corrente di aria ascensionale che parte dalla base della candela e si alza verso l’alto. Questa corrente di aria calda si alza perché ha una densità minore dell’aria circostante.
Spegnendo una candela tutte le particelle e la cera vaporizzata sono trasportati dalla corrente di aria calda formando una sorta di scia infiammabile.
Se con un innesco (una fiamma libera di un accendino) incendiamo l’estremità di questa scia, la fiamma incendia l’intera striscia di fumo fino ad arrivare allo stoppino.

Esperimento

Accendiamo una candela e svuotiamo la riserva di cera liquida che si forma alla base dello stoppino. Spegniamo la candela con un soffio deciso dall’alto verso il basso. Avviciniamo una fiamma alla scia di fumo che si sarà formata a pochi centimetri dallo stoppino, se il fumo è abbastanza denso e carico di sostanze infiammabili la fiamma riaccenderà la candela ripercorrendo la striscia di fumo.

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Spettroscopia infrarossa

Spettroscopia infrarossa

La spettroscopia infrarossa è una tecnica di analisi che si basa sull’interazione tra la luce e la materia. Questa tecnica sfrutta una regione dello spettro elettromagnetico compresa tra 2,5 µm e 25 µm degli infrarossi.
La spettroscopia studia l’assorbimento di energia radiativa da parte delle molecole che raggiungono uno stato eccitato.

Modi vibrazionali


L’eccitazione (di spin, elettronica, vibrazionale, ecc…) dipende dalla quantità di energia quindi anche dal tipo di radiazione. In particolare l’IR è associata ad una eccitazione vibro-rotazionale delle molecole. I due principali moti vibrazionali sono lo stretching e il bending.
Lo stretching è la variazione della lunghezza dei legami tra gli atomi mentre il bending è la variazione dell’angolo di legame tra gli atomi. L’energia dei moti di stretching è più alta di quella dei bending.

L’assorbimento di energia molecolare è quantizzato perciò ci aspetteremo uno spettro con delle righe tuttavia la radiazione infrarossa eccita sia livelli vibrazionali che rotazionali (a più bassa energia) perciò lo spettro presenta delle bande.

Interazione luce-materia e variazione del momento di dipolo

Il campo elettrico alternante prodotto dalla variazione della carica elettrica molecolare, accoppia la vibrazione della molecola al campo elettrico oscillante della radiazione.
Sono visibili in uno spettro IR solo vibrazioni che cambiano il momento di dipolo netto della molecola.

In spettroscopia IR si usa il numero d’onda piuttosto che la frequenza perciò bisogna saper convertire le diverse unità di misura della frequenza e dell’energia.

E energia [J]
h cost. Planch [J/m]
c velocità luce [m/s]
T periodo [s]
λ lunghezza d’onda [m]
v frequenza [Hz]
˜ν numero d’onda [cm-1 ]

Energia dei livelli vibrazionali

I livelli energetici si calcolano in modo approssimato secondo il modello dell’oscillatore armonico e della forza di Hooke.

Approssimiamo gli atomi a delle sfere dotate di massa e il legame chimico come una molla perciò la vibrazione legata alla molecola è

v è la frequenza fondamentale di risonanza (numero d’onda)
µ è la massa ridotta che dipende dalla massa degli atomi
k è la costante di forza della molla che dipende dal tipo di legame
c è la velocità della luce

Spettroscopia Raman

La spettroscopia infrarossa non percepisce i moti vibrazionali simmetrici perciò si deve ricorrere ad un’altra tipologia di analisi spettroscopica. Questa tecnica è la spettroscopia Raman, sfrutta la luce diffusa da un campione sottoposto ad un fascio laser incidente.

Strumento*

Lo spettrofotometro ad infrarossi è costituito da vari componenti che dividiamo in blocchi concettuali e rappresentiamo in una filiera strumentale.
Esistono due tipi di spettrofotometri: dispersione e trasformata di Fourier.
Oggigiorno il modello più utilizzato è a trasformata di Fourier (FTIR) in quanto riesce a garantire maggiori prestazioni: risoluzione costante lungo tutto lo spettro, tempi di analisi brevi e alto rapporto segnale/rumore.

La filiera strumentale di uno FTIR è costituita da:

  • sorgente
  • interferometro
  • cella porta campione
  • rivelatore
  • computer

Sorgente

Le sorgenti per spettrofotometri IR sono molteplici e si scelgono valutando lo spettro di emissione, la robustezza operativa e il costo. Le principali sono lampade con filamenti di: carburo di silicio, ossidi fusi, nichel-cromo e tungsteno.

Interferometro

L’interferometro di Michelson è la configurazione di interferometro più utilizzata negli FTIR. Questo apparecchio è costituito da uno specchio semitrasparente che divide un fascio luminoso proveniente dalla sorgente in due fasci secondari di uguale intensità. I due fasci secondari vengono riflessi da due specchi e fatti collimare su uno stesso punto. Uno dei due specchi è mobile e permette di variare la lunghezza del cammino ottico di uno dei due raggi secondari.
L’interferometro permette di convertire lo spettro di emissione della sorgente in un interferogramma perciò non c’è più necessità di dividere il fascio luminoso nelle sue componenti monocromatiche come avviene in uno spettrofotometro a dispersione.
Per monitorare lo spostamento dello specchio mobile si contano le frange di interferenza di un fascio laser He-Ne fatto entrare nell’interferometro parallelamente al fascio della sorgente.

Cella porta campione

Esistono diversi modi per introdurre un campione negli spettrofotometri IR che dipendono dallo stato fisico del campione, dalla composizione chimica e dal costo.

Campione solido

pastiglia:  si mescolano con un mostaio di agata 1mg di campione e 300mg di KBr e si forma una pastiglia con una pasticcatrice a 10Ton per 2 min.
ATR: è una tecnica che sfrutta un particolare inserto che permette di premere il campione solido contro un cristallo tramite un morsetto. Il raggio IR rimbalza ripetutamente tra il cristallo e la superficie del campione per poi rientrare nello strumento.
nujol: si mescola il campione solido con una paraffina ad alto peso molecolare(nujol) e si pone il miscuglio tra due pastiglie di NaCl o AgBr puri (come un sandwich).

Campione liquido

pastiglie: si pone qualche goccia di campione tra due pastiglie di NaCl  o AgBr puri (come un sandwich)
ATR: si pone qualche goccia di campione sul cristallo e si chiude senza serrare il morsetto

Campione gassoso

cella: si spurga una cella per campioni gassosi con un flusso di gas inerte e tramite un sistema pneumatico si introduce il campione gassoso avvinando la cella.

Rivelatore

Esistono vari tipi di rivelatori per spettrofotometri IR, i principali sono: bolometri, termocoppie, cristalli piroelettrici, cella di Golay e semiconduttori. Ognuno di essi viene valutato secondo i tempi di risposta, limite di rivelabilità, costo e molto altro.

Computer

Il ruolo del computer oltre che monitorare, gestire l’ottica e collezionare i segnali dal rivelatore è quello di convertire l’interferogramma in uno spettro attraverso la trasformata di Fourier.
Esistono algoritmi per svolgere questa operazione complessa che hanno permesso in passato di ottenere un risultato in tempi più rapidi come l’algoritmo di Cooley e Tukey.
Il computer restituisce lo spettro sulle periferiche di uscita (monitor e stampante) e può contenere un database con una serie di molecole per eseguire il riconoscimento automatico di molecole comuni, ciò non toglie però che l’operatore deve saper eseguire l’analisi di uno spettro di una sostanza incognita che potrebbe non essere contenuta all’interno della memoria del computer.

Spettri

Gli spettri sono grafici che mostrano la % trasmittanza del campione in funzione della frequenza della radiazione espressa in cm-1
Solitamente gli spettri IR hanno un intervallo di frequenza sull’asse X compreso tra 4000 e 400 cm-1
Per ogni tipologia di gruppo funzionale presente nelle molecole esiste una serie di bande caratteristiche utili ad identificare il campione incognito.

La regione dello spettro compresa tra 400 e 1500 cm-1 è detta delle impronte digitali ed è caratteristica dello scheletro carbonioso di ogni singola molecola. Non esistono molecole diverse tra loro che possiedono la stessa regione delle impronte digitali.

Di seguito sono riportate le principali famiglie di composti organici con le loro bande caratteristiche.

alcani
alcheni
alchini
nitrili
alcoli
acidi carbossilici
aldeidi
chetoni
esteri
eteri
ammine
ammidi
composti aromatici

Molecole complesse saranno costituite dall’insieme delle varie bande tipiche di ogni gruppo funzionale precedentemente mostrate.

Gli intervalli di frequenza delle bande dei vari gruppi funzionali possono variare perché dipendono da molti fattori come la concentrazione del campione, la presenza di isotopi, ecc…
La spettroscopia IR non è sufficiente da sola a identificare la struttura di una molecola incognita perciò deve essere accompagnata da altre tecniche analitiche (HNMR,CNMR e MS), tuttavia è la più veloce per identificare i vari gruppi funzionali di un composto.

spettri scaricati da:
SDBSWeb : https://sdbs.db.aist.go.jp (National Institute of Advanced Industrial Science and Technology,25/12/2020)

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Davide Di Stasio
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La curcumina è fluorescente

La curcumina è fluorescente

La curcumina è un pigmento fluorescente contenuto nella curcuma, ha molti utilizzi in chimica organica, inorganica e analitica.

La pianta Curcuma Longa può contenere dal 2-9% di curcuminoidi che includono: la curcumina, demetossicurcumina, bis-demetossicurcumina e curcumina ciclica.
La prima estrazione della molecola risale al 1815 mentre la sintesi viene raggiunta 100 anni dopo dal chimico Wiktor Lampe.

Struttura

La curcumina è una molecola simmetrica che presenta 2 gruppi funzionali principali: dichetone α-β insaturo e due o-metossi fenoli.
Nello stato cristallino la molecola assume una configurazione cis-enolica, mentre in soluzione prevale la configurazione trans.

Estrazione*

La curcumina si estrae con un estrattore Soxhlet ed un solvente polare : acetone, etanolo, ecc…

L’estrattore Soxhlet è un estrattore discontinuo in vetro per estrazioni solido-liquido perciò è uno strumento molto usato ed utile nei laboratori di chimica.

Funziona in modo autonomo attraverso dei cicli di riempimento e svuotamento da parte di un sifone laterale tuttavia è sempre bene accertarsi che il solvente non fugga dal condensatore.

Una volta conclusa l’estrazione si procede allontanando il solvente per evaporazione.

Reattività e proprietà chimiche

È una molecola poco solubile in acqua e cambia colore da giallo a rosso se il pH aumenta. Assume inoltre un colore rosso intenso se addizionata con acido solforico concentrato.

Questa molecola può partecipare a reazioni di ossidazione, addizione 1-4 di Michael ed idrolisi.

La curcumina è fluorescente

La curcumina è fluorescente

La curcumina è una molecola fluorescente che assorbe sia nel visibile che nell’UV perciò molte tecniche di analisi spettrofotometriche sfruttano questa molecola per la determinazione di elementi come il Boro. La tecnica di analisi più sensibile è la spettroscopia di fluorescenza (400-450 nm) che arriva fino ad 1ng/mL.
È un forte legante bidentato che complessa metalli con stechiometria 2:1, 3:1 (legante:metallo) formando complessi planari quadrati e ottaedrici perciò è studiata anche nella chimica dei complessi.

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Fotografia ad infrarossi

Fotografia ad infrarossi

La fotografia ad infrarossi è una tecnica particolare che sfrutta una precisa porzione dello spettro elettromagnetico invisibile ai nostri occhi per ottenere delle immagini o dei video.

Cosa sono gli infrarossi?

Per spiegare come funziona la fotografia ad infrarossi, vediamo cosa sono gli infrarossi!
I raggi IR sono radiazioni elettromagnetiche non visibili dall’occhio umano in quanto non fanno parte dello spettro del visibile. Questo infatti comprende radiazioni comprese tra 400 e 780 nm, mentre gli infrarossi si collocano ad una lunghezza d’onda dai 780nm a circa 1mm.
I raggi IR sono radiazioni emesse da tutti i corpi ad una temperatura maggiore dello zero assoluto (circa -273,15°C).

Suddivisione dei raggi IRRange (µm)
NIR0.78-5
MIR5-30
FIR>30

Modifica fotocamera*

Per poter osservare i raggi IR bisogna utilizzare una fotocamera, videocamera o webcam opportunamente modificate. Normalmente i sensori CCD di questi dispositivi riescono a registrare gli infrarossi che però rendono l’aspetto delle immagini catturate diversa da quello osservato. I costruttori risolvono questo problema mettendo un filtro interno tra il sensore e l’obbiettivo che blocca i raggi IR e lascia passare la luce visibile.

Per modificare una vecchia webcam basterà smontarla, rimuovere il filtro di colore fucsia-rosa facendo attenzione a non toccare con le dita le parti ottiche e rimontare tutto. Per la modifica bastano un paio di cacciaviti piccoli.

Durante la rimozione del filtro bisogna fare molta attenzione in quanto è molto fragile e si rompe facilmente. Il filtro smontato è messo da parte e all’occorrenza rimontato all’interno del dispositivo.

Esperimenti

La radiazione infrarossa è invisibile all’occhio umano tuttavia non è l’unica delle differenze con la radiazione visibile. Alcuni oggetti opachi alla luce sono trasparenti all’ IR come ad esempio bottiglie di plastica opaca, tappi, alcuni tessuti, sali ecc…
Sfruttiamo questa proprietà per “guardare attraverso” un tappo di plastica marrone con la webcam, per illuminare l’oggetto utilizziamo un LED IR di un vecchio telecomando.

La fotografia ad infrarossi è un esperimento tra i più artistici, che si può perfezionare aggiungendo e togliendo alla telecamera dei filtri. In questo modo si sceglie una particolare regione dello spettro elettromagnetico da immortalare.

Filtro 720nm


Ponte Vecchio, Cesena
Filtro 590 nm
Fotografia ad infrarossi
Foto post prodotta

Foto scattate da Alessandro Volpe

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Costruiamo un episcopio

Costruiamo un episcopio

In questo articolo costruiamo insieme un episcopio, uno strumento inventato da Eulero per proiettare e ingrandire le immagini. Vediamo in cosa consiste!!

Occorrente:

  • 2 scatole di cartone
  • lente d’ingrandimento 45X
  • lampadina
  • forbici
  • colla vinilica

È possibile anche usare la torcia del telefono, al posto della lampadina.

Procedimento:

praticare due fori sulla faccia frontale della scatola, uno grande per la lente e uno piccolo per la lampadina. Fissare la lente alla scatola  aiutandosi con la colla vinilica e degli anelli di cartone, ricavati dalla seconda scatola. Inserire la lampadina* o la torcia all’interno della scatola e mettere uno schermo tra la lampadina e la lente. Tagliare una seconda superficie di cartone, per ricavarne lo schermo che reggerà l’immagine all’interno dell’episcopio.
Continuare l’esperimento in una stanza buia, in modo che la lampadina illumini solo la figura. Regolare la distanza tra lo schermo e la lente finché l’immagine proiettata sul muro non sarà messa a fuoco.  Assicurarsi che la scatola sia ben chiusa.

Osservazioni:

l’immagine inserita dentro l’episcopio risulta ingrandita sul muro e capovolta.  Utilizzando una fonte luminosa più intensa,  come una lampadina da 60W o una torcia elettrica, l’immagine appare più nitida.

Spiegazione:

la lente presenta due fuochi, dove convergono i raggi luminosi che colpiscono la figura. Se l’immagine viene posta ad una distanza maggiore rispetto al fuoco, la figura proiettata risulta ribaltata e per la particolare geometria della lente verrà anche ingrandita.

Questo è il modo in cui noi makers costruiamo un episcopio!

Provate a ripetere l’esperimento utilizzando altri oggetti, come delle piccole monete e apportando delle piccole modifiche alla vostra scatola e cambiando la lente.

Fateci sapere nei commenti cosa siete riusciti a proiettare con il vostro episcopio DIY!!

*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.

Davide Di Stasio
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La materia ruota la luce

La materia ruota la luce

“La materia ruota la luce” può sembrare l’inizio di una lezione di fisica ma in realtà parliamo di chimica.

Alcuni tipi di sostanze sono in grado di ruotare il piano della luce polarizzata, in chimica sono definite sostanze otticamente attive.
Le sostanze otticamente attive hanno le stesse proprietà fisiche (ebollizione, fusione, ecc…) ma differiscono nelle proprietà direzionali (rotazione della luce polarizzata, ecc…).

Dal punto di vista chimico le molecole delle sostanze otticamente attive non presentano né un centro né un piano di simmetria e le loro immagini speculari non sono sovrapponibili.
Solitamente le molecole di questo tipo hanno un atomo legato a sostituenti diversi.


Un esempio di “oggetti” speculari non sovrapponibili sono le mani (dal greco χείρ, chìr) per questo le molecole otticamente attive sono dette chirali. Il comportamento delle molecole chirali si distingue solo in presenza di altre entità chirali. Questo è importante perché il mondo naturale è ricco di molecole chirali (enzimi, recettori, …) noi compresi!

Storia

Nel ‘800 Jean Baptiste Biot  osserva che il piano della luce polarizzata ruota quando attraversa una soluzione di zucchero o di acido tartarico. Queste due sostanze vengono cristallizzate dalla produzione del vino.

Nel 1848 Louis Pasteur osserva che il sodio ammonio tartrato forma due differenti tipi di cristallo, immagini speculari l’uno dell’altro. Li separa manualmente ed osserva una rotazione opposta della luce polarizzata.

Esperimento*

Materiale per l’esperimento:

      • acqua
      • zucchero
      • bilancia
      • polarimetro
      • bicchieri
      • cucchiaio

In un bicchiere di acqua sciogliamo dello zucchero fino a formare una soluzione satura. La soluzione concentrata va diluita di metà perciò poniamo metà di questa soluzione in un nuovo bicchiere e aggiungiamo un egual volume di acqua. Ripetiamo il processo di diluizione delle soluzioni per altre 2 volte. Le 4 soluzioni di acqua e zucchero a concentrazione decrescente verranno misurate con il polarimetro e si annoterà su un grafico l’angolo misurato vs la concentrazione della soluzione.

Osservazioni

Dal grafico si osserva che l’angolo di rotazione della luce polarizzata delle 4 soluzioni preparate cambia. In particolare aumenta all’aumentare della concentrazione.

Applicazioni

Noi chimici sfruttiamo questa tecnica per misurare la concentrazione di molecole chirali nei campioni alimentari (vino, succhi di frutta, bibite, ecc…). Esistono in commercio dei polarimetri portatili chiamati saccarimetri che forniscono direttamente la concentrazione di zucchero negli alimenti.

La materia ruota la luce

Molte sostanze chirali normalmente trasparenti se osservate al polarimetro presentano dei colori particolari, che conferiscono all’oggetto un particolare effetto caleidoscopico (nastro adesivo, urea, minerali, ecc…).

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Davide Di Stasio
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Polarimetro casalingo

Polarimetro casalingo

Cos’è un polarimetro casalingo? Ha a che fare con i polli? No, è uno strumento che permette di ruotare la luce e scoprire quali sostanze sono in grado di farlo. Proviamo a costruirne uno!

Teoria

La luce è un’onda elettromagnetica cioè l’unione di un’onda elettrica ed un’onda magnetica. Queste due onde oscillano perpendicolarmente una rispetto all’altra perfettamente sincronizzate. La luce si propaga in tutte le direzioni e le onde oscillano su tutti i possibili piani dello spazio.

Normalmente non possiamo notare questo fenomeno ma con dei particolari filtri è possibile separare le onde elettromagnetiche come se usassimo dei setacci. Questi setacci si chiamano filtri polarizzatori, sono in grado di assorbire e disperdere le onde elettromagnetiche indesiderate e far passare solo quelle che oscillano su un piano desiderato. I primi filtri polarizzatori furono i prismi di Nicol che permettono di ottenere un raggio di luce polarizzata grazie a fenomeni di rifrazione e riflessione, sono dei prismi di spato d’Islanda (calcite) opportunamente tagliati ed incollati con del balsamo del Canada. Oggi sono più comuni i filtri Polaroid formati da alcol polivinilico opportunamente lavorato, ciò permette la semplice costruzione di un polarimetro casalingo.

Costruzione*

      • sorgente luminosa
      • 2 filtri polarizzatori
      • goniometro
      • scatola di cartone
      • contenitore di vetro trasparente

La sorgente luminosa può essere una qualsiasi lampadina o torcia a batterie con una luminosità sufficiente da attraversare i due filtri ed il campione. I filtri polarizzatori possono essere recuperati dagli schermi LCD. Per verificare il funzionamento dei filtri basta sovrapporli e ruotarne uno, si nota una variazione di luminosità della luce che li attraversa al variare dell’angolo di rotazione. Quando i filtri avranno le direzioni di polarizzazione perpendicolari non passerà alcuna luce fra di essi.

Si dispone in una scatola tutti i componenti come nell’immagine a lato, tra la sorgente luminosa e il primo filtro polarizzatore si colloca uno schermo di cartone con un foro per indirizzare la luce al campione. Si monta il secondo filtro polarizzatore (vicino all’occhio dell’osservatore) su un goniometro che permette di misurare l’angolo di rotazione tra i due filtri.

Il campione viene posto sul raggio luminoso tra i due filtri polarizzatori, se è un liquido si usa un contenitore di vetro trasparente.

Taratura

Senza mettere il campione nello strumento si accende la luce e si ruota il goniometro su cui è montato il filtro analizzatore. Osservando dal rimo filtro (analizzatore) si deve notare la totale scomparsa della luce. Si annota l’angolo di partenza.

Misurazione

Si pone nello strumento il campione e si procede con una nuova osservazione. Bisognerà ruotare nuovamente il filtro fino a totale scomparsa della luce. Si annota nuovamente l’angolo e lo si sottrae alla prima misura compiuta senza campione. L’angolo ottenuto per differenza sara il potere ottico rotatorio della sostanza. Se pur mettendo il campione nello strumento (dopo la fase di taratura) non si nota nessuna differenza vuol dire che la sostanza non è otticamente attiva.

Questo polarimetro casalingo è indispensabile nel laboratorio dei makers

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