Zucche fluorescenti

Zucche fluorescenti

Quale periodo migliore se non Halloween per parlare delle zucche fluorescenti ?

Non servono strani incantesimi per impressionare e stupire le persone ma basta solo conoscere un po’ di chimica. In questa pagina vi spiego come ottenere dei bellissimi effetti speciali partendo da materiali di uso comune.

Zucche fluorescenti

Per osservare questo fenomeno molto suggestivo servono poche e semplici cose: semi di zucca, alcol o acetone, frullatore o mortaio e una luce UV (torcia UV su qualsiasi e-commerce).

In realtà non sono le zucche ad essere fluorescenti, ma i loro semi, per questo possiamo inventarci dei modi fantasiosi per sfruttare a nostro vantaggio questa proprietà chimica.

Procedimento*


Puliamo i semi di zucca dalla polpa ancora attaccata e sciacquiamoli con acqua. Asciughiamoli con un foglio di carta assorbente o con un canovaccio e sminuzziamoli finemente con un frullatore o un mortaio.

Una volta finito di triturare i semi si presenteranno come una pasta o una granella (a seconda dell’umidità di partenza). Ai semi sminuzzati si aggiunge dell’alcol o dell’acetone e si mescola con cautela.

Finita la fase di omogeneizzazione e mescolati accuratamente i semi triturati con il solvente si illumina il miscuglio con la luce UV della torcia. Si noterà una fluorescenza molto intensa di colore rosso/arancione sprigionarsi dalla soluzione.

L’effetto è visibile anche se si usa acqua invece di alcol o acetone ma l’intensità luminosa della fluorescenza sarà minore.

Spiegazione

Nei semi di zucca sono presenti delle sostanze chimiche naturali che emettono una luce colorata se illuminate con la luce UV. Lo stesso fenomeno lo abbiamo già incontrato QUI con la curcuma. Gli stessi procedimenti estrattivi sono applicabili anche con i semi di zucca.

vitamina B2
protoclorofillide

Tra le tante sostanze chimiche contenute nei semi di zucca ci concentriamo su: vitamina B2(riboflavina) e sulla protoclorofillide. Queste due sostanze naturali presentano una spiccata fluorescenza.

La vitamina B2 che si trova facilmente in farmacia è solubile in acqua e presenta una fluorescenza giallo/verde 533nm, mentre la protoclorofillide è una molecola precursore della clorofilla e presenta una fluorescenza rossa 647nm.

Con questo semplice trucco noi makers vi auguriamo buon Halloween e di stupire tutti i vostri amici con la “magia della chimica”

*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.

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Facciamo il sapone con i makers

sapone marsiglia

La chimica ci circonda e ci aiuta nella vita di tutti i giorni, anche quando facciamo le pulizie. In questa pagina otteniamo il sapone partendo da prodotti di scarto e scopriamo qualche curiosità su questa sostanza miracolosa.

Storia

Le prime fonti dell’invenzione del sapone risalgono al 2200 a.C. Su una tavoletta babilonese si descrive la procedura per ottenere il sapone unendo acqua, sostanze alcaline e olio.

La prima sostanza alcalina o basica prodotta per la saponificazione è la potassa (idrossido di potassio) che veniva ottenuta bollendo la cenere in acqua. La soda (idrossido di sodio) veniva invece prodotta bollendo la cenere della salicornia una pianta ricca di sodio.

In Egitto l’uso del sapone per la pulizia dei tessuti risale al 1550 a.C. , fatto testimoniato dal papiro di Ebers.
Il sapone non veniva usato per la pulizia personale dagli egizi perché era troppo aggressivo, le giuste proporzioni per ottenere un sapone adatto alla pelle vengono scoperta dagli arabi.

Anche i romani conoscevano il sapone anche se preferivano usare altre tecniche per la pulizia personale. Plinio il vecchio descrive in Historia Naturalis un metodo che usavano i galli per pulire i capelli con un prodotto ottenuto dal sego (grasso animale) e calce.

Il sapone viene importato in Europa dai mercanti genovesi e veneziani ed era considerato un bene di lusso molto raro e difficile da ottenere. I primi prodotti ottenuti da grasso animale erano maleodoranti e vennero subito rimpiazzati da oli vegetali profumati.

Durante il medioevo i maggiori produttori di sapone sono Savona e Marsiglia. Ancora oggi esiste il sapone di Marsiglia preparato da olio di oliva, soda caustica, acqua e sale.

Gli inventori del sapone per uso personale furono gli arabi, con prodotti profumati che potevano essere solidi o liquidi e di diversi colori.

Il sapone di Aleppo è prodotto con olio di oliva, timo e alloro con soda caustica. L’olio di alloro produce un sapone più schiumoso.

Chimica del sapone

Il sapone è un sale di metalli alcalini (sodio, potassio, litio, ecc…) e di un acido grasso. Nei saponi di origine naturale si parte da oli vegetali o da grasso animale e da basi forti (soda o potassa caustica).

La base forte in ambiente acquoso idrolizza i trigliceridi degli oli vegetali o dei grassi producendo un alcol detto glicerolo (o glicerina) e un sale. In parole povere la base rompe i trigliceridi in catene di acidi grassi per poi neutralizzarle.

saponificazione

I grassi e gli oli sono composti da diversi tipi di trigliceridi che influiscono in maniera differente sulle proprietà chimiche e fisiche del prodotto finale. L’olio di oliva ha una grande quantità di acido oleico nei propri trigliceridi, ma contiene anche acido palmitico, stearico e linoleico.

Anche il tipo di metallo alcalino usato nella saponificazione influisce sulle proprietà del prodotto finale. I saponi di litio e sodio sono più duri rispetto a quelli ottenuti con il potassio (generalmente liquidi) mentre i saponi di altri metalli (calcio, rame, magnesio, ecc…) sono insolubili in acqua.

molecola di sapone
oleato di sodio

La molecola di sale ottenuta nella reazione di saponificazione è formata da due parti: una testa polare (idrofila), e una coda apolare (idrofoba).

La testa della molecola che contiene le cariche di segno opposto è affine all’acqua mentre la coda senza cariche derivante dall’acido grasso è affine alle sostanze organiche apolari (oli, grassi, ecc…) e non all’acqua.

sapone sull'acqua

La molecola di sapone perciò ha una doppia natura, ha una testa che si lega a sostanze polari ed una coda che si lega a sostanze apolari. Questo tipo di molecole si dicono antifiliche e fanno da ponte tra sostanze di natura opposta (acqua e olio).

Il sapone ad una certa concentrazione si dispone con la testa polare rivolta verso l’acqua e la coda a contatto con l’aria.

formazione di micelle

Appena una sostanza apolare (grasso, olio, sporcizia, ecc…) tocca le code si lega e forma un guscio di molecole di sapone detta micella. Le micelle sono libere di muoversi dentro l’acqua perché la loro parte esterna è polare e contengono al loro interno lo sporco.

Una volta intrappolate le sostanze apolari dentro le micelle, si possono sciacquare via con facilità usando l’acqua.

Questo meccanismo imita il passaggio di sostanze attraverso le membrane delle cellule che sono composte da molecole (fosfolipidi) don la stessa “forma” del sapone .

Il sapone interagisce con il fluido in cui si trova perciò ne modifica le proprietà, una di queste è la tensione superficiale. Per questo motivo le molecole del sapone vengono chiamate tensioattivi.

Saponi nell’arte e nei mestieri*

Esistono varie tipologie di sapone prodotte nell’arco della storia dell’uomo e ne esisteranno molti altri in futuro. Il sapone di Marsiglia usato per il bucato è un esempio di un prodotto solubile in acqua, in particolare un oleato di sodio.

I saponi a base di metalli differenti dal sodio e dal potassio che sono addirittura insolubili in acqua (come gli oleati di rame, calcio e litio) possono sembrare inutili e bizzarre, ma in realtà trovano diversi impieghi nel mondo dell’arte e della meccanica.

Nei dipinti ad olio si formano spontaneamente saponi metallici; in molti di essi i restauratori hanno notato dei piccoli granelli simili all’acne sulla superficie della pittura.

Questa “malattia” nasce dalla reazione chimica tra gli acidi grassi usati come leganti e i pigmenti metallici, solitamente sono ossidi di piombo e zinco. Questi saponi si aggregano e si accumulano scrostando la vernice dalla tela del dipinto.

Il sapone però non è solo una sostanza dannosa nel mondo dell’arte. Le saponette possono essere prodotte con diversi colori, fantasie e forme dando la possibilità all’artista di esprimere le proprie idee.

sculture di sapone

Molti manufatti artistici vengono incisi artigianalmente partendo da blocchi di sapone, impiegando solo scalpelli e coltelli. Fiori, foglie ed altri oggetti possono essere inglobati in blocchi di sapone trasparente ed essere preservati per lungo tempo.

I saponi di calce trovano impiego nel mastice usato dai vetrai, molto resistente al calore e ottimo per immobilizzare il vetro.

Facciamo il sapone

Per preparare il sapone abbiamo bisogno di:

  • olio
  • idrossido di sodio NaOH
  • agitatore magnetico riscaldante

Per ogni grammo di olio bisogna aggiungere 0.140 g di idrossido di sodio.

Per esempio usiamo 75 g di olio di recupero e 10.5 g di soda caustica.

È importante sciogliere la soda caustica nel minor quantitativo di acqua distillata facendo molta attenzione a dissipare il calore prodotto dalla reazione esotermica.

Scaldiamo l’olio ad una temperatura di 50°C mescolando costantemente e aggiungiamo a filo la soluzione concentrata di idrossido di sodio. Durante questo passaggio non bisogna usare fiamme libere (es. fornelli, bunsen, ecc…) perché l’olio a contatto con la soluzione acquosa potrebbe schizzare ed incendiarsi.

Si forma una dispersione di piccole goccioline dentro le quali avviene la reazione di saponificazione.

L’emulsione formata si mantiene stabile se la quantità di acqua non è eccessiva e l’agitazione è molto vigorosa.

Mescoliamo vigorosamente per almeno 30 minuti fino ad una consistenza cremosa del composto. Si può lavare il sapone ottenuto con almeno tre lavaggi con una soluzione di NaCl satura.

Far stagionare il sapone per almeno 40 giorni in stampi per permettere l’essiccazione e il completamento della reazione.

Bibliografia

Scientific soapmaking – The chemistry of the cold process di Kevin M.Dunn – Clavicula press, Farmville, VA

Soap manufacturing technology – Luis Spitz editor – AOC Press, Urbana, Illinois

Trattato compiuto di Farmacia teorica e pratica. Quarta edizione …, Volume 2
By Julien Joseph Virey

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Davide Di Stasio
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Fotografia analogica, i principi chimici per noobs

Fotografia analogica, i principi chimici per noobs

La fotografia analogica, un tuffo nel passato che affascina sempre più giovani curiosi di sperimentare.

In un mondo ormai digitalizzato con gli smartphones sempre a portata di mano, fotografare è diventata un’abitudine per tutti.
La fotografia analogica sembra la scelta contro corrente degli hipster amanti del vintage, eppure sempre più giovani si avventurano in questo tipo di disciplina.

In questo articolo non staremo a disquisire i piaceri nascosti della fotografia analogica (sempre che ce ne siano davvero, bisognerebbe provare!) ma andremo dritti al sodo, per scoprire il piacere della chimica che sta alla base di ciò che per molti aveva del miracoloso: fissare sulla materia un’immagine.

Fotografia analogica, le basi chimiche!

*Click! Hai appena innescato un meccanismo sulla tua macchina fotografica che permetterà alla luce di penetrare all’interno e poter così impressionare la pellicola fotografica.

– Il supporto fotografico (la pellicola)

La pellicola è formata da diversi strati:

fotografia analogica, chimica, pellicola. Bromuro d'Argento

Strato superiore: un’emulsione di sali di alogenuro d’argento (alogeni possibili; cloro, bromo, iodio) sensibili all’esposizione luminosa e dispersi in una gelatina.

Strato inferiore: un supporto in cellulosa trasparente.

In questo esempio si parla di una pellicola bianco e nero, per le pellicole a colori sono necessari ulteriori strati per i pigmenti, rosso, verde e blu.

Arriva il fotone! La luce entra nella macchina fotografica e colpisce lo strato di alogenuro d’argento innescando una reazione a catena.

Prediamo l’esempio del bromuro d’argento AgBr:

Il bromo in forma anionica colpito dalla luce, cede un elettrone all’argento in forma cationica creando nel reticolo cristallino di AgBr alcuni atomi di Ag metallico.

Ag+ Br → Ag+ + Bro + e

Ag+ e → Ago

La struttura chimica ha ormai modificato i suoi equilibri, è stata creata un’immagine latente ancora invisibile. Dopo opportuno sviluppo chimico i punti esposti alla luce diventeranno più scuri.

– Lo sviluppo fotografico

La pellicola una volta esposta ed estratta dalla macchina fotografica (completamente al buio) viene immersa in soluzione chimica riducente. Durante la reazione si produce ulteriore argento metallico con una velocità maggiore nelle aree in cui sono già presenti atomi di metallo. Le aree con più argento metallico saranno visibilmente più scure.

Diventa visibile un’immagine! I cristalli non colpiti dalla luce non subiscono nessuna trasformazione, e restano sensibili alla luce. Andranno perciò eliminati successivamente nel processo finale di fissaggio.

Esistono altri spettri elettromagnetici oltre a quelli visibili, scopri di più in questo articolo: Fotografia ad infrarossi.

– L’arresto

La pellicola (sempre al buio) viene trattata con una soluzione acida che arresta il processo di sviluppo per evitare un eccessivo annerimento.

– Il fissaggio

La pellicola viene trattata con un ultimo reagente che permette di dissolvere l’alogenuro d’argento non reagito.

Il sale d’argento non è solubile in acqua viene così portato in soluzione con un bagno adatto come ad esempio il tiosolfato di sodio.

Una volta effettuati tutti questi processi con i giusti tempi di reazione e aver ben lavato la pellicola dalle sostanze chimiche avremo un negativo stabile che potrà essere esposto alla luce e magari successivamente sviluppato in stampa.

Fonti per approfondire:

Teoria: I processi chimici della fotografia

Pratica: Manuele di fotografia, camera oscura

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La materia ruota la luce

La materia ruota la luce

“La materia ruota la luce” può sembrare l’inizio di una lezione di fisica ma in realtà parliamo di chimica.

Alcuni tipi di sostanze sono in grado di ruotare il piano della luce polarizzata, in chimica sono definite sostanze otticamente attive.
Le sostanze otticamente attive hanno le stesse proprietà fisiche (ebollizione, fusione, ecc…) ma differiscono nelle proprietà direzionali (rotazione della luce polarizzata, ecc…).

Dal punto di vista chimico le molecole delle sostanze otticamente attive non presentano né un centro né un piano di simmetria e le loro immagini speculari non sono sovrapponibili.
Solitamente le molecole di questo tipo hanno un atomo legato a sostituenti diversi.


Un esempio di “oggetti” speculari non sovrapponibili sono le mani (dal greco χείρ, chìr) per questo le molecole otticamente attive sono dette chirali. Il comportamento delle molecole chirali si distingue solo in presenza di altre entità chirali. Questo è importante perché il mondo naturale è ricco di molecole chirali (enzimi, recettori, …) noi compresi!

Storia

Nel ‘800 Jean Baptiste Biot  osserva che il piano della luce polarizzata ruota quando attraversa una soluzione di zucchero o di acido tartarico. Queste due sostanze vengono cristallizzate dalla produzione del vino.

Nel 1848 Louis Pasteur osserva che il sodio ammonio tartrato forma due differenti tipi di cristallo, immagini speculari l’uno dell’altro. Li separa manualmente ed osserva una rotazione opposta della luce polarizzata.

Esperimento*

Materiale per l’esperimento:

      • acqua
      • zucchero
      • bilancia
      • polarimetro
      • bicchieri
      • cucchiaio

In un bicchiere di acqua sciogliamo dello zucchero fino a formare una soluzione satura. La soluzione concentrata va diluita di metà perciò poniamo metà di questa soluzione in un nuovo bicchiere e aggiungiamo un egual volume di acqua. Ripetiamo il processo di diluizione delle soluzioni per altre 2 volte. Le 4 soluzioni di acqua e zucchero a concentrazione decrescente verranno misurate con il polarimetro e si annoterà su un grafico l’angolo misurato vs la concentrazione della soluzione.

Osservazioni

Dal grafico si osserva che l’angolo di rotazione della luce polarizzata delle 4 soluzioni preparate cambia. In particolare aumenta all’aumentare della concentrazione.

Applicazioni

Noi chimici sfruttiamo questa tecnica per misurare la concentrazione di molecole chirali nei campioni alimentari (vino, succhi di frutta, bibite, ecc…). Esistono in commercio dei polarimetri portatili chiamati saccarimetri che forniscono direttamente la concentrazione di zucchero negli alimenti.

La materia ruota la luce

Molte sostanze chirali normalmente trasparenti se osservate al polarimetro presentano dei colori particolari, che conferiscono all’oggetto un particolare effetto caleidoscopico (nastro adesivo, urea, minerali, ecc…).

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Davide Di Stasio
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Cromatografia

Cromatografia

Nei laboratori di chimica analitica si cerca di separare i componenti da miscele complesse, questo per facilitare le analisi. Le tecniche di separazione sono molte, una di queste è la cromatografia.

La cromatografia fu inventata da botanico Russo Tsvet all’inizio del ‘900, con questa tecnica lo scienziato riuscì a separare la clorofilla da un estratto vegetale di foglie. Tsvet fece macerare la materia vegetale in un solvente a base di etere di petrolio e percolò il solvente attraverso una colonna riempita di polvere di gesso anidra. Con il passare del tempo questa nuova tecnica separativa fu introdotta in tutti i laboratori chimici ed oggi sono state sviluppate numerose tecniche cromatografiche differenti che permettono di separare le sostanze in base a svariate proprietà chimico-fisiche.

La cromatografia si basa sulla diversa affinità di un analita per una fase stazionaria ed una fase mobile. Se si prende una miscela di analiti trasportati da una fase mobile attraverso una fase stazionaria i componenti di questa miscela percorreranno la fase stazionaria in tempi diversi, questi tempi vengo denominati tempi di ritenzione. Maggiore sarà l’affinità di un componente per la fase stazionaria e maggiore sarà il suo tempo di ritenzione. Esistono vari tipi di cromatografia e queste possono essere classificate in base ai processi di separazione o allo stato fisico della fase mobile impiegata.

I principali processi di separazione sono quattro:

    • adsorbimento
    • ripartizione
    • scambio ionico
    • esclusione dimensionale

Lo stato fisico della fase mobile può essere liquido o gassoso. Inoltre possiamo fare un’ulteriore discriminazione In base allo stato fisico della fase stazionaria, essa potrà essere liquida o solida.

Cromatografia

Un esempio di cromatografia liquido-liquido è la cromatografia su carta.

Come mai la cromatografia su carta (che sfrutta un supporto solido) dovrebbe avere una frase stazionaria liquida?

Perché la carta contiene una percentuale di umidità che compone la vera e propria fase stazionaria mentre la cellulosa funge da impalcatura.

Per saperne di più e vedere qualche esperimento* sulla cromatografia guardate il video

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