Pompa a siringa da laboratorio

Pompa a siringa da laboratorio

Una pompa a siringa è uno strumento molto comodo da avere in laboratorio, no solo per condurre esperimenti ma anche per piccole produzioni come l’elettrofilatura.

Come tutte le pompe volumetriche serve a distribuire una quantità di liquido precisa. La differenza fra questo tipo di pompa e altre pompe volumetriche è l’utilizzo di una siringa per contenere il liquido di interesse. Per l’utilizzo bisogna prima riempire la siringa, per poi impostare i parametri per la fase di dispensazione.

Il riempimento della siringa può essere fatto a mano per poi montare la siringa sul telaio della pompa, oppure si può montare la siringa vuota sulla pompa e sfruttare la funzione di ricarica automatica. Quest’ultima funzione non è presente su tutti i modelli.

A cosa serve una pompa a siringa da laboratorio?

In un laboratorio chimico di ricerca si studiano i meccanismi alla base di reazioni chimiche, per fare questo alcune volte bisogna ripetere le sintesi per avere dei dati attendibili e per esplorare tutte le variabili che ne influenzano il risultato.

I chimici sfruttano queste apparecchiature semi automatiche che permettono di dispensare i reagenti dentro dei reattori per far avvenire le reazioni e monitorarle, garantendo precisione e ripetibilità.

Inoltre con lo sviluppo di tecniche come la microfluidica ha permesso ai chimici di utilizzare dei quantitativi di reagenti sempre più piccoli, abbattendo gli sprechi e i costi. Questi benefici per la sintesi e l’analisi chimica si devono anche all’affidabilità e la precisione di queste pompe.

Per piccoli quantitativi e precisioni elevate si montano siringhe più piccole, per quantitativi da erogare più grandi si montano siringhe di volume maggiore.

Parametri da impostare

Le pompe a siringa hanno dei parametri che memorizzano i diametri delle siringhe montate, la portata con cui erogare il liquido oppure dei quantitativi di liquido da erogare singolarmente, lavorano perciò o in continuo o a dosi fisse.

Il diametro della siringa fa capire alla pompa quanto fluido fuoriesce dalla punta per ogni avanzamento del pistone. Se approssimiamo la siringa a un cilindro, conoscendo il diametro possiamo calcolare l’area di base (circonferenza) e quindi il volume per ogni millimetro che avanza il pistone secondo la formula: volume = area di base * avanzamento del pistone.

Struttura di una pompa a siringa

La pompa a siringa è formata da 3 parti fondamentali:

  • elettronica di controllo e interfaccia utente
  • telaio
  • motore passo-passo o stepper
pompa a siringa

L’interfaccia e l’elettronica sono specifiche per ogni modello di pompa, ma svolgono funzioni simili a quelle descritte in precedenza.

Il telaio serve per fissare saldamente la siringa in posizione e a movimentare il pistone con movimenti precisi. La vite converte il movimento rotatorio del motore in uno spostamento lineare del pistone.

Il motore stepper o passo-passo è un particolare tipo di motore che non gira in maniera continua e incontrollata ma esegue degli incrementi di angolo ben precisi dettati da impulsi della scheda elettronica.

Costruzione di una pompa a siringa*

Dopo aver trovato e riparato l’elettronica di una vecchia pompa a siringa, abbiamo costruito il telaio e tutta la parte meccanica. Molte parti sono state progettate e stampate in 3d con PLA, mentre la guida lineare, le pulegge, il motore, la barra filettata e i cuscinetti sono stati acquistati.

Una cinghia in gomma passo 2mm trasmette il moto del motore da una puleggia da 15 denti a una puleggia da 28 denti montata sulla vite di trasmissione. Il passo della vite è di 1,5 mm.

Le pulegge sono del tipo T2 M8 e la cinghia è una 140-2GT larghezza 9mm.

Questi dati sono coerenti con le caratteristiche meccaniche della pompa a siringa da laboratorio da cui proviene l’elettronica di controllo.

Per abbattere i costi del progetto si utilizza una barra filettata M10 in acciaio per ricavare la vite di trasmissione della pompa. Una volta tagliata della lunghezza desiderata si tornisce un’estremità fino al diametro di 8mm per poter inserire la puleggia e i cuscinetti.

Tutte le parti meccaniche sono fissate tramite viti, bulloni e grani filettati. Tutte le parti stampate in 3d sono condivise su Thingiverse.

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*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.

Bluazione del metallo

Bluazione del metallo

La bluazione del metallo è una tecnica che permette di ricoprire oggetti di metallo con uno strato di ossido di colore nero protettivo contro la ruggine. Questa tecnica si usa molto nel mondo del restauro perciò esploriamola insieme.

Esistono diverse tecniche per bluare, le possiamo dividere in due categorie:

    • a freddo
    • a caldo

Bluazione a freddo del metallo

La bluazione a freddo utilizza delle sostanze che formano sulla superficie del pezzo uno strato di ossido nero a temperatura ambiente. Questa tecnica si utilizza per grandi superfici da trattare in maniera rapida.

Si distribuisce la sostanza con un pennello in maniera uniforme o si immerge il pezzo nella vasca di prodotto. L’inconveniente di usare questa tecnica è lo smaltimento dei reagenti utilizzati e la pericolosità delle sostanze impiegate.

I reagenti di questa tecnica sono costosi, difficili da reperire e devono essere maneggiati con molta cautela.

Una delle sostanze più comuni contenta nei bluanti commerciali è l’ossido di selenio.

Un’altra sostanza usata per bluare e convertire la ruggine è l’acido tannico, una sostanza chimica derivante dalla condensazione del glucosio e dell’acido gallico. Si trova in natura nei legni di quercianoce, mogano ma anche nelle foglie del mandorlo indiano, nelle bucce di banana e nel tè. Per estrarlo basta bollire i vegetali elencati precedentemente in acqua e usare l’estratto come soluzione bluante convertiruggine.

Bluazione a caldo del metallo

La bluazione a caldo del metallo avviene in due fasi, la prima fase forma sull’oggetto metallico uno strato di ossido ferrico Fe2O3 comune ruggine di color rosso mattone.

La seconda fase trasforma la ruggine in magnetite cioè un ossido misto ferrico/ferroso di colore nero.

Queste due fasi si possono eseguire in maniera separata o contemporaneamente, di seguito vi riporto la seconda strada.

Una delle bluazioni più antiche è la brunitura, in cui un oggetto metallico viene arroventato su una fiamma e gettato immediatamente in olio.

Bluazione del metallo in pratica*

Il materiale che ci serve è

    • fornello
    • pentolino d’acciaio
    • acido citrico in polvere
    • acqua
    • acetone
    • DPI (guanti e occhiali)

L’acetone è opzionale, serve per rimuovere tracce di unto dal pezzo da trattare. L’acido citrico si trova nei negozi che vendono prodotti per la pulizia della casa o al supermercato.

In un luogo ben ventilato puliamo molto bene l’oggetto da trattare, asciughiamolo e sgrassiamo con acetone.

Nel pentolino sciogliamo per ogni 100g acqua …g di acido citrico. Immergiamo l’oggetto da bluare e facciamo bollire il tutto su un fornello, dopo 5 minuti lasciamo raffreddare il pezzo dentro la soluzione.

Il pezzo raffreddato appare di colore più scuro rispetto alla forma originaria, il processo di bluazione si ripete più volte fino ad ottenere la tonalità e lo spessore desiderato dello strato protettivo.

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Estrazione delle sostanze naturali

Estrazione delle sostanze naturali

Come sapete le piante sono ricche di sostanze chimiche che possono essere di nostro interesse, e che non possiamo sintetizzare in laboratorio. In questo caso dobbiamo ricorrere all’estrazione, una tecnica che separa le sostanze chimiche naturali dal campione.

Come esempio estraiamo* le molecole contenute nelle foglie di agnocasto o pepe dei monaci. Essa è una pianta di interesse farmacologico.

agnocasto o pepe dei monaci

Tra le molecole contenute nell’olio di agnocasto ci sono: iridoidi, flavonoidi, alcaloidi, terpeni e steroidi.

Il tipico odore di questa pianta e delle sue bacche è dovuto principalmente all’eucaliptolo.

eucaliptolo

Il nome pepe dei monaci deriva dalla proprietà anafrodisiaca di questa pianta, che veniva usata dai monaci per rispettare il voto di castità.

La maggior concentrazione di sostanze di nostro interesse si trova nelle foglie, una volta raccolte le facciamo essiccare all’ombra girandole di tanto in tanto.

Dopo l’essiccazione riduciamo in polvere le foglie secche con un mortaio o un frullatore, questo faciliterà l’estrazione.

Se volete sapere come funziona un estrattore Soxhlet date un’occhiata alla pagina della curcumina. Questa apparecchiatura è impiegata per la estrazione delle sostanze naturali e permette di usare meno solvente rispetto ad una semplice macerazione (come per la preparazione del tè).

Molecole dell’agnocasto e proprietà

Tra le sostanze estratte ci sono: Aucubina e la Agnuside che hanno una funzione difensiva per la pianta.

agnuside

La casticina e la vitexina che fanno parte dei flavonoidi e sono i pigmenti naturali con proprietà antiossidanti.

vitexina

Il loro colore varia a seconda del pH

e della presenza di metalli come il ferro e l’alluminio in quanto si comportano come molecole complessanti (cioè formano dei composti di coordinazione con essi).

Anche le antocianine sono dei flavonoidi e colorano le piante di rosso, blu e violetto.

L’eucaliptolo e il sabinene donano l’aroma caratteristico all’intera pianta.

Gli scienziati hanno riscontrato nell’olio essenziale di agnocasto proprietà antibatteriche, in particolare nell’agnocasto bianco.

Ancora oggi studiamo le interazioni delle molecole contenute nell’Agnocasto sul sistema endocrino, in particolare sulla produzione di alcuni ormoni ipofisari.

Questo agisce sulle irregolarità del ciclo mestruale e sulla riduzione dei sintomi premestruali.

Ciò nonostante come ogni altra sostanza presenta sempre degli effetti collaterali che vanno monitorati.

Analisi delle sostanze naturali

L’estratto ha un colore bruno intenso con un odore molto forte e caratteristico.

Per separare e identificare tutte le sostanze presenti nel pallone ricorriamo alla cromatografia, le tecniche strumentali più usate sono l’HPLC e la GAS-MASSA

video estrazione sul canale

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Analisi dell’alcol polivinilico

Analisi dell’alcol polivinilico

In questa pagina affrontiamo insieme la seconda parte del lavoro del chimico: l’analisi* dei prodotti sintetizzati. In particolare affrontiamo l’analisi dell’alcol polivinilico sintetizzato in precedenza QUI.

Panoramica

Il PVA fu preparato la prima volta da Hermann e Haehnel nel 1924 idrolizzando il PVAc. Si idrolizzano i gruppi acetato in etanolo in presenza di NaOH.

Le caratteristiche fisiche e chimiche dipendono dal grado di idrolisi e di polimerizzazione. PVA si divide in due gruppi: parzialmente e totalmente idrolizzato.

Il PVA è una polvere bianca o giallo tenue inodore e insapore, solubile in acqua ma non nei solventi organici.

PVA è un polimero termoplastico innocuo e atossico. L’alcol polivinilico è biodegradabile tramite idrolisi, ciò è facilitato dai gruppi idrossilici. Le condizioni per la degradazione avvengono in presenza di ossigeno, in ambienti acquosi e nel sottosuolo.

Proprietà fisiche

Tensione superficiale

Si misura la tensione superficiale di soluzioni acquose di PVA a diverse concentrazioni tramite il tensiometro casalingo.

L’alcol polivinilico mostra una temperatura di transizione vetrosa Tg 85°C ed una temperatura di fusione Tm 230°C.

I dati sono ricavati dal profilo di calorimetria differenziale a scansione DSC

Perdita per essicamento (LOD)

Consiste nella differenza di peso del campione prima e dopo un trattamento termico (riscaldamento in forno) fino a peso costante. La differenza di peso indica l’umidità trattenuta naturalmente dal campione.

Si pesa il campione “asciutto” a temperatura ambiente, si registra il valore (m1). Poniamo in stufa il campione ad una temperatura inferiore a quella di fusione (almeno 20°C in meno).
Si fa raffreddare il campione in essiccatore e si registra il peso, si ripete il ciclo termico fino ad ottenere un valore di peso costante (m2).

LOD = [ (m1 – m2) x 100 ] / m1

Proprietà chimiche

Numero di saponificazione

Uno dei parametri misurabili è il numero di saponificazione, esprime la quantità di base necessaria per saponificare un grammo di campione.

Poniamo 1.0 g di campione in un pallone da 250 mL, aggiungiamo 25 mL di NaOH 0.5 M in etanolo, 25 mL di acqua e qualche pallina di vetro (per controllare l’ebollizione). Attacchiamo un condensatore e mettiamo a riflusso per 30 minuti.
Lasciamo raffreddare a temperatura ambiente ed aggiungiamo qualche goccia di fenolftaleina, titoliamo immediatamente con HCl 0.5 M; segnamo il volume (V1).
Ripetiamo la prova con il bianco (non mettiamo il campione) nelle stesse condizioni; segnamo il volume (V2).

Calcoliamo il numero di saponificazione, S:

S = 40 x (V2 – V1) x (M / W)
dove
40 è la massa molare di NaOH
M è la molarità di HCl
W è la massa del campione in (g)

Grado di idrolisi

Un altro parametro calcolabile è il grado di idrolisi. Convertiamo matematicamente il numero di saponificazione S determinato in precedenza nel seguente modo:

Sdb = (S x 100)/(100 – LOD)
dove
LOD è la perdita per essicamento
S è il numero di saponificazione

Il grado di idrolisi, GI:
GI = 100 – [(7.84 X Sdb )/(100 – (0.075 X Sdb))]

Spettro vibrazionale infrarosso FTIR

Eseguiamo uno spettro vibrazionale infrarosso del campione solido. Mettiamo in un mortaio 1mg di PVA e 300 mg di KBr ed omogeneizziamo tutto. Poniamo la polvere in una pressa pastigliatrice ed infiliamo la pastiglia nello spettrometro IR.

I picchi indicati dallo spettro vibrazionale confermano la presenza di gruppi alcolici OH e di alcuni gruppi residui di C=O. Con l’aumento del grado di idrolisi il picco C=O a 1700 cm-1 diminuisce di intensità.

Con l’analisi dell’alcol polivinilico speriamo di trasmettervi una parte importante quanto quella sintetica di sui si occupa un chimico, la caratterizzazione delle nuove sostanze sintetizzate è una sfida complessa quanto la sintesi…se non più difficile.

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Spettroscopia UV-vis

Spettroscopia UV-vis

La spettroscopia UV-vis è una tecnica molto utilizzata in chimica analitica e sfrutta l’interazione fra la luce e la materia. A differenza della spettroscopia IR in questa tecnica si eccitano i livelli elettronici della molecola.

Questa spettroscopia è usata in laboratorio per analisi quantitative, misura la concentrazione di molecole che assorbono nello spettro UV (100-400 nm) e visibile (400-700 nm).

La legge più importante per la quantificazione dell’analita con spettroscopia UV-vis è la legge di Lambert-Beer.

Questa legge afferma che:
La quantità di luce monocromatica assorbita (A) da una soluzione è funzione della concentrazione (c) della sostanza assorbente e della lunghezza del cammino ottico (b).

A = ε b c

legge di lambert-beer

ε è il coefficiente di assorbività molare tipico per ogni sostanza.

Per svolgere le analisi sui campioni si usa lo spettrofotometro UV-vis, uno strumento che permette di misurare l’intensità luminosa assorbita dalle sostanze.

Affrontiamo la struttura dello spettrofotometro in questa pagina, dove trattiamo in maniera più approfondita tutte le sue parti e la costruzione di un colorimetro con Arduino.

Le analisi quantitative più comuni sfruttano il metodo di analisi degli standard esterni. Il chimico prepara* una serie di soluzioni a concentrazioni note contenenti l’analita di interesse. L’assorbanza di queste soluzioni è misurata e si costruisce una retta di calibrazione, cioè una retta che riporta le concentrazioni sull’asse delle ascisse (x) e i valori di assorbanza sull’asse delle ordinate (y).

Con la regressione lineare si trova la retta che approssima meglio tutti i punti sperimentali. Una volta misurata anche l’assorbanza del campione a concentrazione incognita si usa l’equazione della retta di regressione per calcolare la concentrazione. Questo metodo funziona bene solo se la concentrazione del campione incognito è compresa nel range delle soluzioni standard.

Esistono molte altre tecniche di analisi e metodi analitici più complessi che sfruttano la spettroscopia UV-visibile.

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Sintesi dell’alcol polivinilico

Sintesi dell’alcol polivinilico

La sintesi dell’alcol polivinilico (PVA) può essere facilmente riprodotta* con materiali di semplice reperimento a costi molto ridotti.

Il PVA è un polimero sintetico biodegradabile che si ottiene dalla reazione di idrolisi del polivinilacetato (PVAc).

Solitamente i polimeri sintetici si producono da reazioni di polimerizzazione cioè dove i monomeri si uniscono formando una macromolecola, perciò la sintesi del PVA è un’eccezione.

I due chimici tedeschi Herrmann e Haehnel fecero la prima sintesi del PVA per idrolisi nel 1924.

Sintesi dell’alcol polivinilico

Per sintetizzare il PVA dobbiamo recuperare i reagenti da prodotti di uso comune.
Il primo reagente è la colla vinilica… si avete capito bene proprio quella che usa Giovanni Muciaccia di Art Attack! La colla vinilica è una emulsione di acetato di vinile in acqua al 53%.

Per avere una resa migliore dobbiamo separare il polivinilacetato in una polvere solida, useremo il solfato di sodio come agente coagulante per rompere l’emulsione e ottenere il PVAc.

Il solvente per la reazione è l’etanolo o alcol etilico. Può essere usato sia quello per uso alimentare del supermercato oppure l’alcol decolorato che sappiamo preparare in lab.
L’etanolo è una sostanza infiammabile perciò non vanno utilizzate fiamme libere durante la reazione.

Il catalizzatore per la reazione di idrolisi è l’idrossido di sodio NaOH o soda caustica che si trova in scaglie dal ferramenta. È una base forte, corrosiva che produce calore se solubilizzata perciò va maneggiata con molta cura.

È estremamente importante usare i DPI (guanti, occhiali, camice) e condurre la reazione in un luogo arieggiato, privo di fiamme libere, lontano da materiale infiammabile.

reazione di sintesi dell'alcol polivinilico

Separazione PVAc dalla colla

In un pallone da 500mL mettiamo 100g di solfato di sodio, 250mL di acqua e 25 mL di etanolo. Quando il sale sarà sciolto mettiamo goccia goccia nel pallone 1g di H2SO4 concentrato sotto agitazione.

Quando la soluzione coagulante è pronta aggiungiamo poco alla volta 100g di colla vinilica portando l’agitatore magnetico alla velocità massima.

Dopo 30 minuti a 40°C lasciamo raffreddare la soluzione e spegniamo l’agitazione magnetica.
La soluzione si separerà in tre fasi: sul fondo la polvere di PVAc, in mezzo la fase acquosa contenente il sale ed in cima una schiuma contenente l’emulsionante.

Filtriamo la soluzione coagulante (che può essere riutilizzata per coagulare altra colla) e sciacquiamo a parte con acqua distillata la polvere di PVAc ottenuta.

Il PVAc risciacquato con acqua formerà una dispersione difficile da filtrare (quasi impossibile), munirsi di molta pazienza e molto tempo per l’asciugatura (magari con un forno a 40°C).

Idrolisi del PVAc in PVA

Solubilizziamo 0.5g di NaOH con il minor quantitativo di alcol possibile (non oltre 20 mL).

In un pallone da 500 mL poniamo 180 mL di etanolo e 5 g di PVAc. Portiamo a 70°C sotto vigorosa agitazione magnetica. Solubilizzato tutto il PVAc (circa 24h) versiamo la soluzione di NaOH preparata precedentemente.

Se il PVAc fatica a solubilizzarsi aggiungere 100mL di acetone nel pallone.

Teniamo a riflusso per almeno 45 minuti. Con il procedere della reazione si forma una dispersione di piccoli fiocchi di PVA poco solubili in alcol perciò la soluzione comincerà ad intorbidirsi.

Conclusa la reazione si filtra con imbuto e carta da filtro, recuperando il precipitato (polvere solida rimasta nel filtro).

La polvere di PVA ottenuta va fatta asciugare in forno a 60°C per una notte e conservata in contenitori ermetici e privi di umidità.

Dopo la sintesi dell’alcol polivinilico possiamo eseguire qualche analisi per verificare la corretta riuscita della sintesi. Se volete sapere come cliccate QUI.

Applicazioni

Il PVA è solubile in acqua perciò è utilizzato in molti ambiti in cui altri polimeri sintetici non possono essere utilizzati.

La proprietà fisiche del polimero prodotto dipendono dal grado di idrolisi ottenuto durante la reazione. Per esempio la solubilità in acqua aumenta drasticamente per gradi di idrolisi superiori al 90%.

L’alcol polivinilico viene aggiunto agli adesivi come agente addensante inoltre si usa nella produzione della carta patinata ed inkjet.

Il PVA è anche utilizzato come agente distaccante per manufatti in vetroresina, stampaggio ad iniezione e antiadesivo per materiali epossidici.

I solventi organici non attaccano il PVA ed è anche impermeabile ai gas perciò ha ottime proprietà barriera.

L’alcol polivinilico è impiegato insieme ad altri polimeri negli imballaggi, nei guanti e nelle bottiglie come strato barriera.

I supporti di stampa in PVA per i manufatti 3D possono essere sciolti in acqua a fine processo semplificando il lavoro dei Makers.

Il PVA compone alcuni film idrosolubili che usiamo tutti i giorni come la capsule per detergenti (lavastoviglie e lavatrici), sacchetti per additivi per cementi, sacchetti per lavanderia e molto altro.

L’alcol polivinilico ha applicazioni in campo farmacologico come mezzo di rilascio per principi attivi.

Il processo di elettrofilatura o electrospinning impiega soluzioni acquose di PVA per la produzione di nanofibre che compongono membrane di interesse biomedico.

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