L’immagine che vedete come copertina è il disegno semplificato di un motore a getto molto particolare. Quell’immagine in particolare, resa disponibile dall’aeronautica militare degli Stati Uniti d’America, dovrebbe rappresentare il primo prototipo funzionante di un motore a detonazione rotativa.
Pratt & Whitney, colosso industriale impegnato nella produzione di motori aeronautici e spaziali di tutti i tipi, ha firmato un contratto per poter testare il primo motore con questa tecnologia.
Come funziona un motore a detonazione rotativa?
Il motore a detonazione rotativa, definito RDE (Rotative Detonation Engine) in inglese, si caratterizza proprio per avere una detonazioneinvece di una deflagrazione. La deflagrazione consiste in una combustione che avviene con una variazione di volume. La detonazione è una combustione che avviene in un volume costante generando un’onda d’urto. La detonazione permette di bruciare il combustibile ad una velocità migliaia di volte superiore ad una deflagrazione. In più la spinta sfrutta l’onda d’urto che si genera.
Per consentire una detonazione continuativa la camera di combustione è un cilindro di sezione a corona circolare.
Semplifico la geometria della camera di combustione con l’immagine qui sopra. L’aria è immessa dal davanti, la sezione di colore verde. Per far avvenire la detonazione in maniera circolare, percorrendo la corona circolare di colore blu, immettendo il carburante nel punto successivo a dove è appena avvenuta. La parte in cui avviene la combustione è quella colorata in rosso che andranno a ruotare come il punti di detonazione e sono i punti in cui si generano onde d’urto.
È meglio degli altri motori aeronautici?
Questo motore ha dei grandi difetti.
Risulta molto difficile accenderlo perché necessità di un flusso d’aria molto veloce. In particolare la velocità minima a cui può lavorare al momento è intorno a Mach 1 (ossia 1 volta la velocità del suono).
Ha dei consumi oggettivamente esagerati. Avvenendo una detonazione continua a pressioni elevate, per far avvenire la combustione è necessaria una grossa quantità di carburante.
Fino ad oggi è considerato molto instabile ma sembra che Pratt & Whitney abbia risolto questo problema
Estremamente rumoroso
Detti i difetti principali, difetti attuali che penalizzano notevolmente l’utilizzo di massa, elenco i pregi e perché risulta una soluzione rivoluzionario.
Permette di generare spinta ad altissime velocità, velocità sopra Mach 1, generando un flusso supersonico in uscita dalla camera di combustione.
Pratt & Whitney dichiara di poter avere un consumo inferiore del 5% rispetto ad un motore che permette le stesse velocità
Il minor consumo è dato dal maggior rendimento dovuta dalla detonazione che potrebbe ulteriormente migliorare con gli sviluppi.
Ad oggi per volare a velocità supersoniche si sono usati dei turbogetto con post-bruciatore, ramjet/scramjet, pulsogetto a detonazione o motori a razzo. Il turbogetto è il motore più usato ma sfruttando una deflagrazione ha un’efficienza inferiore, oltre a consumare enormi quantità di carburante a causa del post bruciatore. I ramjet e scramjet, oltre a consumare tanto in quanto il funzionamento può essere analogo al post bruciatore (semplificazione forte), sono utilizzati solo per velivoli sperimentali in quanto non possono accendersi da soli. Il pulsogetto a detonazione, anche se sfrutta una detonazione, lavora a impulsi quindi a intermittenza. I motori a razzo sono molto più complessi da gestire e ingombranti.
Se mai entrasse in produzione per aerei di linea risulterebbe rivoluzionario in quanto permetterebbe di volare a velocità supersoniche (oltre la velocità del suono) con facilità e quindi riportare in auge il volo passeggeri supersonico, andato in pensione con il ritiro del Concorde, aereo che detiene il record di tempo sulla tratta da New York a Londra (meno di 3 ore).
Ogni qual volta si debba dimensionare correttamente un componente è necessario fare dei calcoli, più o meno complessi a seconda del problema. Solitamente, maggiori sono le dimensioni di un corpo, maggiori sono le variabili che lo interessano e quindi fare i conti manualmente risulta impossibile. Per questo motivo si cerca di semplificare il problema scomponendo il corpo in parti più piccole (metodi degli elementi finiti). L’applicazione di un metodo come questo è detto discretizzazione. Questo metodo è usato in quasi tutte le applicazioni ingegneristiche (insieme ad altri) per riuscire a eseguire delle simulazioni su corpi solidi o volumi di fluido.
Purtroppo per applicazioni ingegneristiche moderne questo metodo non è applicabile manualmente per ottenere valori affidabili. Grazie ai calcolatori (i computer) si è in grado di eseguire milioni di calcoli anche molto complessi in tempi relativamente brevi.
Come usare il metodo degli elementi finiti
A seconda del tipo di problema, si semplificherà il corpo od il volume in modo diverso. Ogni problema ha le sue caratteristiche ma, per calcoli precisi, è necessario avere entità di dimensioni quanto più vicine alle entità del corpo (o volume).
Semplificazione Monodimensionale
La semplificazione più semplice, ma anche meno precisa, è quella di semplificare la geometria con delle linee. Su ogni linea verranno risolte le equazioni caratteristiche del problema: se è un problema di sollecitazione statica, si determineranno gli sforzi normali e di taglio. Per ogni segmento è necessario tenere conto anche delle sollecitazioni calcolate nei segmenti adiacenti ed una volta aver risolto le varie equazioni si conoscerà il comportamento del corpo o fluido.
Se si prende come esempio una trave con supporto, considerandola incastrata al suolo, la si andrà a semplificare rendendola un’insieme di linee di lunghezza uguale. Noto il tipo di vincolo, incastro, faro le varie considerazione per eseguire i calcoli su ogni linea.
Eseguiti i calcoli sarò in grado di determinare dove sono presenti maggiori sollecitazione sulla struttura nota la densità del materiale, la sua forma ed eventualmente un ulteriore carico.
Il problema del metodo a elementi finiti monodimensionale è che non si tengono conto delle altre 2 dimensioni spaziali. Questa modalità può trovare in piego solo per prime approssimazioni in casi di geometrie simmetriche e di sezione costante.
Semplificazione Bidimensionale
In questo caso, invece di analizzare delle linee su un piano, si analizzano delle superfici su uno stesso piano. Il problema risulta bidimensionale, quindi anche questo caso non rispecchia la realtà ma è una soluzione che può risultare utile in diverse applicazione.
Un esempio, in ambito CFD (Fluidodinamica Computazionale), è quando si vuole scegliere un profilo aerodinamico da utilizzare. In prima approssimazione si confrontano i profili in un problema bidimensionale in quanto è molto più veloce da analizzare rispetto ad un problema tridimensionale per avere una prima stima delle pressioni aerodinamiche.
In questo caso le superfici possono essere di diverso tipo ma le più usate sono triangoli o quadrilateri. I primi si adattano meglio ai problemi con geometrie complesse, ma i quadrilateri danno risultati molto più affidabili e richiedono più calcoli.
Il reticolo di figure geometriche piane viene definito “mesh” (2D) e fa da base ad un’eventuale mesh tridimensionale usata in determinate condizione. La caratteristica principale di una mesh 2d è che ogni figura piana abbia un lato in comune con quelle adiacenti. Diversamente dal caso monodimensionale, i lati dei poligoni usati non sono tutti uguali, si cerca di avere poligoni più piccoli in prossimità dei punti che si vogliono studiare o geometricamente complessi e si ingrandiscono mano mano che ci si allontana da questi punti così da rendere i calcoli più veloci.
Semplificazione Tridimensionale
Essa è caratterizzata da una mesh 3D, ossia un insieme di corpi solidi. Questi corpi possono avere diverse forme a seconda del tipo di problema o algoritmo di calcolo usato. In molti casi complessi, come gli studi fluidodinamici in cui si analizzano grandi volumi, si utilizzano algoritmi molto avanzati, quindi pesanti per un calcolatore, e si tendono ad usare mesh costituite da solidi di diverse forme e dimensioni. Sempre con lo stesso criterio, piccoli in prossimità dei corpi o di dettagli e più grandi allontanandosi dai corpi o le parti da studiare.
I calcoli
I calcoli, oltre a dipendere dal problema, dipendono anche dal programma utilizzato per eseguirli. Approfondire i calcoli dei singoli programmi risulta molto complesso in quanto necessitano di conoscenze di alto livello e non sono tutti facilmente reperibili ma approfondiremo i principali problemi su come vengono svolti. In più, raramente si usa 1 solo metodo per eseguire i calcoli. Il metodo degli elementi finiti non è l’unico usato in questi ambiti e non è l’unico che utilizza una mesh. Tutti questi metodi si rifanno alle equazioni fondamentali della fisica.
Applicazioni di tutti i giorni
Questo metodo non deve spaventare per la complessità. Esistono programmi, anche gratuiti, disponibili per chiunque che rendono simulazioni alle sollecitazioni molto semplici. La mesh viene generata in autonomia da un corpo ed è necessario solo aggiungere le forze e i vincoli. Per chi “gioca” con la stampa 3D può essere uno strumento molto utile per dimensionare correttamente componenti che devono sopportare carichi come una staffa o un ingranaggio.
Il giroscopio è un oggetto che, messo in rotazione, è in grado di mantenere la direzione dell’asse di rotazione invariato. Ne sono lampante esempio le trottole. Fin tanto che ruotano ad una certa velocità sono in grado mantenere il proprio asse di rotazione perpendicolare al suolo. Quando le trottole iniziano a rallentare si manifesta un altro fenomeno tipico degli oggetti in rotazione come il giroscopio chiamato precessione. Infatti l’asse di rotazione della trottola si inclina e inizia a ruotare in senso opposto alla rotazione della trottola.
Ciò che avviene ad un trottola è parzialmente esplicativo degli effetti giroscopici. Parzialmente perché nonostante la precessione sia facile da notare esiste un ulteriore fenomeno che appare detta nutazione
Perché l’asse di rotazione del giroscopio ha direzione invariata?
Quando la trottola gira velocemente, la direzione dell’asse rimane invariata. Questo avviene per una legge fisica detta di conservazione del moto angolare. Matematicamente parlando il momento (M) applicato sul corpo è dato dal suo momento di inerzia (I) e accelerazione angolare(α).
In parole semplici, grazie alla massa in rotazione ad una velocità relativamente alta, il corpo non cade e fin tanto che la velocità sarà sufficiente e non ci saranno disturbi esterni, continuerà a girare senza variare ala direzione dell’asse di rotazione.
Precessione del giroscopio
Quando la trottola perde energia, ossia rallenta, si inclina e inizia a girare. Quindi oltre alla rotazione attorno all’asse centrato con la punta inferiore e superiore della trottola inizia a girare attorno ad un altro asse passante solo per la punta a contatto con il terreno.
Questo moto è detto di precessione. Da notare che la rotazione di precessione ha verso opposto a quella della trottola. A livello matematico capire velocità e angolo di inclinazione della trottola è abbastanza complesso ma il momento applicato alla trottola può essere espresso grazie al lavoro complessivo (L) e alla velocità angolare di precessione (ΩP):
Nutazione del giroscopio
La nutazione di un corpo in rotazione è molto difficile da notare ad occhio. Questo perché consiste in piccole “vibrazioni” nel moto di precessione. Avviene anche in una trottola, ma generalmente lo si nota negli ultimi istanti prima che cada e non ci si fa troppo caso.
Se si immagina la traiettoria percorsa dalla punta superiore di una trottola, ossia circa una circonferenza, con una nutazione evidente si noterà la punta oscillare attorno a questa traiettoria immaginaria.
Questo fenomeno è dovuto alla combinazione del moto di rotazione della trottola e della precessione.
Dove troviamo l’effetto giroscopico?
Oltre per utilizzi particolari come la girobussola, un dispositivo che permette un’alta precisione nell’indicare il nord magnetico per aeromobili e navi, è un fenomeno che si manifesta molto spesso. Banalmente in bicicletta o in moto, è più facile stare in equilibrio su questi mezzi quando sono in movimento, ossia quando le ruote girano, piuttosto che da fermi.
In alcuni casi specifici l’effetto giroscopio è indispensabile, ad esempio nelle moto. Una moto con una grade velocità in percorrenza di curva e grande angolo di piega necessita di muovere il manubrio nel senso opposto alla curva. Così facendo l’effetto giroscopico permette il controllo della moto.
In altri casi invece l’effetto giroscopico può essere un grosso deficit che va compensato, ad esempio negli elicotteri dove l’effetto giroscopico secondario, la precessione, e terziario, la nutazione, va compensato dal pilota o da sistemi elettronici avanzati per garantire un volo confortevole ed efficiente.
Questo fenomeno coinvolge un po’ tutti da vicino anche se spesso passa inosservato e spero che dopo questo articolo ci si riesca a fare più caso a questo fantastico fenomeno fisico.
*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.
Prendere un bicchiere e riempirlo di acqua fino all’orlo. Porre il cartoncino di carta sul bicchiere, in modo da coprirne completamente la bocca*. Premere tale cartoncino sul bicchiere e rovesciarlo. Dopo qualche secondo togliere la mano. Cosa accade?
Osservazioni:
Il cartoncino rimane attaccato al bicchiere, quindi l’acqua non fuoriesce da esso.
Spiegazione:
Per spiegare tale fenomeno ci viene in soccorso la fisica! In particolare, una volta rovesciato il bicchiere, entrano in gioco varie forze: vediamo insieme quali! Come si vede dall’immagine, una delle forze che agisce su tale sistema è quella prodotta dal peso della colonna di acqua all’interno del bicchiere. Tale forza produce una pressione definita come: p = ΔF/ΔA in cui F è l’intensità della forza esercitata sull’area A (la bocca del bicchiere). L’unità di misura della pressione nel S.I. e il Pascal (Pa).
La pressione esterna che agisce sul cartoncino è, invece, quella atmosferica. Quest’ultima pressione risulta molto maggiore di quella esercitata dalla colonna di fluido all’interno del bicchiere. Per tale ragione, dal bilancio delle forze che agiscono sul sistema complessivo, risulta che la pressione atmosferica non eguaglia, ma addirittura vince sulla prima e ciò permette di non far uscire l’acqua dal bicchiere, nonostante questo sia capovolto!
Ma scopriamo insieme cos’è la pressione atmosferica!
Essa è la pressione media esercitata dall’atmosfera, ovvero da una miscela omogenea di gas tra cui i principali azoto e ossigeno, insieme a componenti minori, quali argon, vapore acqueo e anidride carbonica. In particolare, essa è il peso di una colonna d’aria alta quanto l’atmosfera, che grava su una superficie di 1 cm^2. Alla temperatura di 0°C, al livello del mare e alla latitudine di 45°, essa vale circa 10^5 Pa. Inoltre, viene misurata mediante uno strumento particolare, il barometro, messo a punto dal noto Evangelista Torricelli.
*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.
Cercare di capire se il gatto è vivo o morto non è la priorità della meccanica quantistica, perciò non preoccuparti troppo per la vita del gatto e affronta questo viaggio attraverso le basi della meccanica quantistica con noi Makers.
Introduzione*
La meccanica quantistica è circondata da un alone di mistero e da una miriade di aneddoti molto famosi. Potrà sembrarti una materia mistica e inarrivabile, utilizzata per imprese fantascientifiche come il teletrasporto e i super-computer quantistici ma in realtà la meccanica quantistica ha origini più “umili” che ti spieghiamo QUI.
Questa disciplina è utilizzata molto non solo in fisica ma anche in chimica. La spettroscopia utilizza molti modelli e approssimazioni quantistiche per studiare l’interazione tra la radiazione elettromagnetica e la materia a livello atomico e molecolare. La composizione dei corpi celesti e la scoperta di nuove molecole non presenti sulla terra tramite l’astrochimica si spiegano solo attraverso la meccanica quantistica.
Interpretazione di Copenaghen
Esistono diverse interpretazioni della meccanica quantistica, la prima proposta e più diffusa è l’interpretazione di Copenaghen. Alcuni pilastri di tale interpretazione comunemente accettati sono:
1. La meccanica quantistica è intrinsecamente probabilistica e non deterministica 2. I risultati della meccanica quantistica devono ridursi a quelli della meccanica classica nelle condizioni in cui i risultati classici siano attendibili. (PRINCIPIO DI CORRISPONDENZA) 3. La funzione d’onda restituisce delle probabilità (ottenibili con la legge di Born) per i risultati delle misurazioni eseguite sul sistema. 4. Non si può osservare contemporaneamente la duplice natura dei fenomeni atomici (es. onda/particella) durante lo stesso esperimento. (PRINCIPIO DI COMPLEMENTARITÀ)
Non spaventarti se nel prossimo capitolo vedrai operazioni matematiche e concetti di algebra lineare che non conosci, l’importante è cogliere l’idea di base.
Postulati della meccanica quantistica
Passiamo ora ai postulati che costituiscono la base della meccanica quantistica sui quali si sono basate tutte le scoperte e teorie oggi in uso.
–stati quantici e funzioni d’onda:
Lo stato di un sistema è descritto dalla funzione d’onda Ψ(r1,r2,…,t). Il termine “descritto” significa che la funzione d’onda contiene tutte le informazioni sulle proprietà del sistema descrivibili sperimentalmente.
-operatori
Le osservabili (grandezze ricavabili sperimentalmente) sono rappresentate da operatori hermitiani che devono soddisfare le regole di commutazione:
q e q’ indicano due diverse coordinate spaziali (es. x, y, z…) e pqquantità di moto (m*v) sulla rispettiva coordinata q. δqq’ è la delta di Kronecker.
Gli operatori Ô sono hermitiani perciò garantiscono che le osservabili siano numeri reali.
CAPIAMOCI MEGLIO *Gli operatori possono essere visti come funzioni che agiscono su spazi lineari rappresentabili tramite le matrici. *Il commutatore è un’operazione matematica molto semplice definita nel seguente modo: [A,B] = (A*B) – (B*A)
-valore d’aspettazione e osservabili
Il valore medio dell’osservabile in una serie di esperimenti associata ad un operatore Ô è pari al valore d’aspettazione ⟨Ô⟩
Se la funzione d’onda è un’ autofunzione dell’operatore Ô applicato allora il valore d’aspettazione coincide con l’autovalore “o” associato a tale operatore.
In tutti gli altri casi la funzione d’onda può essere espressa come combinazione lineare di autofunzioni dell’operatore (PRINCIPIO DI SOVRAPPOSIZIONE).
CAPIAMOCI MEGLIO *La strana notazione con i simboli “maggiore e minore” è la notazione di Dirac o bra-ket ed è usata per “risparmiare tempo durante i calcoli”. È una notazione molto compatta e maneggevole che permette in molti casi di tralasciare simboli come quelli degli integrali. *Se si misura il sistema la funzione d’onda che lo rappresenta collassa in una delle possibili autofunzioni che la compongono. (COLLASSO DELLA FUNZIONE D’ONDA) Questo “fenomeno” ha lo sconcertante significato (dal punto di vista classico) che una funzione che prima della misura era la sovrapposizione di molteplici autostati, di colpo si riduce ad uno solo!!! *Schrödinger inventa il paradosso del “gatto vivo o morto” per criticare il principio di sovrapposizione, uno dei cardini dell’interpretazione di Copenaghen.
-interpretazione di Born
La densità di probabilità che una particella sia trovata in un dato volume in un dato punto dello spazio è proporzionale al quadrato della funzione d’onda, inoltre la densità di probabilità della particella in tutto lo spazio è pari a 1.
-equazione di Schrödinger (operatore evoluzione temporale)
L’evoluzione nel tempo della funzione d’onda Ψ(r1,r2,…,t) si descrive tramite l’equazione di Schrödinger ( lo scienziato del paradosso del gatto vivo o morto)
E una equazione agli autovalori in cui l’operatore hamiltoniano Ĥ descrive l’energia totale del sistema.
MODELLI
-PARTICELLA NELLA SCATOLA MONODIMENSIONALE
La risoluzione più semplice dell’equazione di Schrödinger è quella della particella nella scatola. Essa riguarda una particella posta in una scatola monodimensionale, la quale non potrà muoversi liberamente, ma potrà assumere posizioni comprese tra 0 e L (in cui L è la lunghezza della scatola).
Al di fuori delle pareti della scatola la particella assume valori di potenziale infiniti, mentre all’interno di essa sarà nullo. L’equazione di Schrödinger all’interno della scatola sarà uguale a quella precedentemente presentata, riferita alla particella libera. Tuttavia, non tutte le soluzioni saranno accettabili.
Per fare in modo che vengano rispettate le condizioni al contorno e la condizione di normalizzazione, la funzione non potrà assumere tutti i valori possibili di R. Si può dimostrare, quindi, che i livelli energetici possibili per una particella nella scatola sono dipendenti da n e dalla sua funzione d’onda corrispondente. Ossia l’energia che la particella nella scatola può assumere sarà quantizzata. Essa potrà assumere solo valori discreti di energia, detti LIVELLI ENERGETICI.
Puoi estendere questo modello su più dimensioni rendendo la scatola bidimensionale, tridimensionale, ecc… e la forma della scatola può essere modificata passando ad anelli e sfere. Dai un’occhiata QUI.
Applicazioni della particella nella scatola
Il modello della particella nella scatola si usa in chimica per studiare gli elettroni di molecole con doppi legami coniugati. L’elettrone può essere paragonato ad una particella confinata in una scatola della dimensione del sistema coniugato (evidenziato in figura), ciò ti permette di prevedere le proprietà ottiche (come il colore assunto dalla molecola considerata) attraverso semplici calcoli. Se non l’hai ancora fatto dai un’occhiata alle proprietà ottiche della curcumina.
È possibile calcolare per esempio la lunghezza d’onda della luce assorbita dal carotene che corrisponde al salto dell’elettrone tra due livelli energetici consecutivi ben precisi. Questi livelli sono N/2 e (N/2)+1 dove N è il numero totale di atomi del sistema coniugato. Considerando N (22 atomi di carbonio del sistema coniugato), m la massa dell’elettrone (9,11*10-31 Kg) e l la lunghezza media del legame chimico (1*10-10 m)
La lunghezza d’onda (misurata sperimentalmente) assorbita dalla molecola di carotene è 480 nm(blu-verde) cioè di colore complementare all’arancione. Con il modello della particella nella scatola si ottiene ottiene 632 nm che è diverso dal valore sperimentale di 1,3 volte. Questo accade perché con l’applicazione del modello su molecole reali si trascurano molte altre interazioni fra i vari elettroni che si trovano nel sistema elettronico. I calcoli perciò forniscono un dato indicativo. Puoi ripetere i calcoli cambiando N a seconda della dimensione del sistema di doppi legami coniugati scoprendo quale radiazione interagisce con la molecola di tuo interesse, ricordati di valutare l’errore di 1,3-2 volte.
-OSCILLATORE ARMONICO
Introduciamo ora l’oscillatore armonico! Il modello fisico di questo oscillatore è composto da due masse collegate l’una all’altra da una molla.
Nel caso monodimensionale la forza elastica è prodotta dallo scostamento della massa dal punto di equilibrio ed è espressa come
Dato che la forza che agisce sulla particella corrisponde a
Ne consegue che l’energia potenziale dipenderà da x secondo la seguente relazione
assumerà cioè una forma parabolica, con potenziale nullo per x=0
Alla stregua della particella nella scatola, risolvendo l’equazione di Schrödinger, risulterà
Dalla risoluzione dell’equazione, si ricava che l’energia dell’oscillatore armonico sarà quantizzata, quindi assumerà valori discreti, pari a
con v = 1, 2, 3, … e μ la massa ridotta. All’aumentare di ν la funzione d’onda risulta più ampia ai bordi, inoltre a differenza della particella nella scatola (in cui il parametro n parte da 1) il parametro v parte dal valore 0 e restituisce un’energia chiamata energia di punto zero.
Applicazioni dell’oscillatore armonico
La spettroscopia vibrazionale studia i moti vibrazionali delle molecole e si basa sul modello dell’oscillatore armonico. Data una determinata molecola puoi calcolare la “forza” del legame chimico che unisce gli atomi. Prendiamo ad esempio la molecola di acido cloridrico e determiniamo la costante di forza elastica del legame. Leggendo lo spettro infrarosso dell’acido cloridrico determiniamo la frequenza della banda Q (spazio centrale vuoto dello spettro vibro-rotazionale) 2990 cm-1.
Considerando le masse di H e Cl rispettivamente 1 uma e 35 uma si calcola μ la massa ridotta dell’oscillatore.
La costante elastica si ricava con la formula inversa della frequenza dell’oscillatore armonico
Nota che la costante elastica del legame chimico che forma la molecola di acido cloridrico HCl è elevata. Ora sei in grado anche tu di calcolare la “forza” dei legami chimici partendo dalle frequenze di vibrazione lette sugli spettri vibrazionali. Se vuoi anche identificare i composti organici incogniti dallo spettro leggi la nostra pagina sulla spettroscopia infrarossa.
Il gatto è vivo o morto?
Se sei arrivato/a fino a questo punto e ti stai ancora domandando se il gatto è vivo o morto ti lasciamo un link per toglierti tutti i dubbi.
Curiosità
-Il modello della particella nella scatola si usa anche per studiare nuclei atomici, atomi, molecole e quantum dots. -se vuoi sapere quali molecole ci sono nello spazio clicca QUI
“Le idee audaci e ambiziose degli anticonformisti hanno sempre rappresentato le pietre miliari del progresso scientifico”
J.M.Jauch
Con questo noi makers speriamo di avervi incuriositi e di avervi dato le basi per approfondire la meccanica quantistica senza alcun timore.
*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.
Sono un perito chimico e studente di chimica all'università di Bologna. Mi occupo di chimica, elettronica e riciclo. Faccio parte dei Makers dal 2015 da quando abbiamo fondato il gruppo.
Ripercorriamo la storia della meccanica quantistica affrontando gli esperimenti, i paradossi e le idee che hanno cambiato il mondo della fisica.
Dal corpo nero al principio di indeterminazione
Cos’è la fisica quantistica? Perché ci appare così oscura? Perché è nata? Tutto ebbe inizio negli anni a cavallo tra il XIX e il XX secolo, quando i fisici classici iniziarono ad osservare il mondo microscopico. Inizialmente tentarono di utilizzare la fisica classica per spiegare i comportamenti delle particelle a livello atomico e subatomico, ma con scarsi risultati. Essi, infatti si resero conto che, nonostante la fisica newtoniana fosse adatta a descrivere i fenomeni a livello macroscopico, la sua applicazione nel microcosmo causava alcune perplessità.
Lo spettro del corpo nero
Il primo limite dell’approccio classico si deve ai due fisici Rayleigh e Jeans, i quali tentarono un’interpretazione classica dello spettro di emissione del corpo nero. Quest’ultimo è un oggetto ideale di riferimento in grado di assorbire tutta la radiazione incidente indipendentemente dalla lunghezza d’onda e dalla direzione. Nessuna superficie può emettere più di un corpo nero a temperatura e lunghezza d’onda fissata ed è un emettitore diffuso.
Negli ultimi anni dell’Ottocento, i due scienziati notarono che la relazione trovata rispecchiava le osservazioni sperimentali* a basse frequenze ma restituiva un risultato paradossale per alte frequenze detto catastrofe ultravioletta ( secondo le leggi della fisica classica la radiazione emessa sarebbe dovuta aumentare con la frequenza ).
A risolvere tale problema fu Planck, il quale teorizzò che gli oscillatori ideali di cui erano composte le pareti del corpo nero non potessero emettere energia in maniera continua, come teorizzato dalla fisica newtoniana. Egli propose un modello secondo cui l’energia poteva essere emessa solamente in maniera discreta tramite pacchetti “QUANTI” di energia, secondo la legge:
Nonostante Max Planck introdusse il concetto della quantizzazione del mondo microscopico, giustificò la sua scelta come un puro espediente per “far tornare i conti” privo di alcun significato fisico
Effetto fotoelettrico
Ulteriori discrepanze si notarono nell’effetto fotoelettrico. Esso consiste nella sollecitazione di una lastra metallica mediante luce a una determinata frequenza. Sperimentalmente si osservò che l’aumento della frequenza aumentava l’energia cinetica degli elettroni espulsi dalla superficie del metallo e l’intensità luminosa ne aumentava solo il numero.
Dunque Einstein, in seguito allo studio di tale fenomeno ipotizzò la quantizzazione della radiazione elettromagnetica! Secondo tale ipotesi la luce è costituita da particelle dette FOTONI, aventi energia direttamente proporzionale alla frequenza secondo la legge teorizzata da Planck. Per la prima volta l’approccio quantistico si dimostrò essere un valido strumento fisico e non solo un espediente matematico per risolvere i problemi del corpo nero.
Modello atomico di Bohr
L’approccio discreto venne utilizzato anche dallo scienziato Niels Bohr per risolvere il paradosso del modello atomico di Rutherford per il quale l’elettrone collasserebbe sul nucleo centrale di carica opposta perdendo energia attirato per la forza di Coulomb.
Bohr impose la quantizzazione del momento angolare dell’elettrone orbitante attorno al nucleo. Secondo questo nuovo modello atomico gli elettroni giacciono attorno al nucleo solo su precise orbite e per muoversi da una all’altra devono assorbire o emettere una quantità di energia discreta. Le formule ricavate dallo scienziato danese rispecchiavano le formule empiriche di Balmer e Rydberg e spiegavano le osservazioni delle linee di emissione e assorbimento negli spettri.
Il modello di Bohr venne ulteriormente verificato dall’esperimento di Frank ed Hertz che riuscirono a misurare lo scambio energetico tra un fascio di elettroni e atomi di mercurio. Dalle misure eseguite osservarono un preciso valore di energia ceduta dal fascio di elettroni agli atomi di mercurio che corrispondeva ad una precisa transizione tra due orbite atomiche.
Scattering Compton
Il comportamento discreto delle radiazioni elettromagnetiche venne osservato da Arthur Compton attraverso un fenomeno di diffusione (scatterning Compton). Lo scienziato bombardò un bersaglio di grafite con un fascio di raggi X e si rese conto che venivano emessi una certa quantità di raggi X a frequenza minore. La frequenza dei raggi diffusi dal bersaglio era indipendente dalla frequenza della radiazione incidente e questo poteva essere dimostrato solo con un approccio quantistico. Compton immaginò la radiazione formata da particelle che urtando gli elettroni della grafite cedevano parte della propria energia. Dall’interpretazione di questo esperimento nacque il dibattito sulla dualità onda-particella.
Dualismo onda particella dell’elettrone
Un ulteriore step nel campo della fisica quantistica venne fatto dal fisico francese De Broglie. Egli propose analogie tra il fascio di elettroni e il fascio di fotoni, studiando il fenomeno della diffrazione di fasci elettronici. Come ai fotoni si associano onde elettromagnetiche, così alla propagazione di elettroni si è associato un fenomeno ondulatorio.
Fu inoltre in grado di esprimere matematicamente la lunghezza d’onda di tali onde, dette onde di De Broglie:
Equazione di Schroedinger
Data la natura ondulatoria delle particelle, fu necessario introdurre un’equazione per lo studio della meccanica quantistica. Si tratta dell’equazione di Schrodinger, proposta dall’omonimo fisico nel 1926 (sì, è proprio lo stesso Schrodinger che ha ideato il paradosso del gatto !!!).
Se vuoi approfondire l’argomento e riuscire a risolvere l’equazione di Schrodinger in modo semplice applicandola alla vita di tutti i giorni clicca QUI.
L’equazione completa risulta:
Principio d’indeterminazione
La fisica newtoniana, dunque, non era più in grado di spiegare numerosi fenomeni atomici. Si dovette abbandonare la visione deterministica del microcosmo per accogliere una nuova disciplina in grado di prevedere tali fenomeni. Il grado di precisione arbitraria e sempre crescente che i fisici classici inseguivano, ben presto venne contestata da un principio che rivoluzionò la storia della meccanica quantistica.
“non si possono misurare contemporaneamente con assoluta precisione le componenti della posizione e della velocità, o meglio della quantità di moto, di una particella di massa molto piccola lungo una direzione”.
W. Heisenberg
Questo principio sconvolse talmente tanto il mondo della fisica che rimase nell’immaginario comune come un simbolo di tale disciplina.
Ciò che ci insegna questo percorso nella storia della meccanica quantistica è di coltivare la nostra immaginazione e continuare ad avere una mente aperta a nuove idee. Ci sono ancora molti interrogativi da risolvere, che possono sconvolgere tutte le teorie proposte fino ad oggi!
“Non bisogna sottovalutare il valore insostituibile dell’immaginazione e dell’intuizione nella ricerca scientifica. Superando con salti irrazionali il rigido cerchio entro il quale siamo costretti dal ragionamento deduttivo l’intuizione permette le grandi conquiste del pensiero.[…] Per tale ragione la ricerca scientifica è pur sempre un’avventura”
L. de Broglie
La storia della meccanica quantistica continua con molte altre scoperte e teorie entusiasmanti ma noi Makers ci fermiamo qui… per ora.
Curiosità
-La parola FOTONE venne introdotta solo nel 1926 dal chimico-fisico Lewis. -Quando Niels Bohr vinse il premio Nobel , la Carlsberg lo volle ringraziare regalandogli una casa adiacente al birrificio, con un tubo che spillava birra direttamente in salotto. –J.J.Thomson scoprì l’elettrone come particella, G.P.Thomson (figlio di J.J.Thomson) scoprì le proprietà ondulatorie dell’elettrone. Entrambi vinsero il Nobel per le loro scoperte. -Il dibattito sul dualismo onda-particella della luce è ancora aperto! -Il termine “meccanica quantistica” venne usato per la prima volta da Max Born nel 1924. –Il gatto di Schroedinger si può salvare.
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Sono un perito chimico e studente di chimica all'università di Bologna. Mi occupo di chimica, elettronica e riciclo. Faccio parte dei Makers dal 2015 da quando abbiamo fondato il gruppo.