Analisi dell’alcol polivinilico

Analisi dell’alcol polivinilico

In questa pagina affrontiamo insieme la seconda parte del lavoro del chimico: l’analisi* dei prodotti sintetizzati. In particolare affrontiamo l’analisi dell’alcol polivinilico sintetizzato in precedenza QUI.

Panoramica

Il PVA fu preparato la prima volta da Hermann e Haehnel nel 1924 idrolizzando il PVAc. Si idrolizzano i gruppi acetato in etanolo in presenza di NaOH.

Le caratteristiche fisiche e chimiche dipendono dal grado di idrolisi e di polimerizzazione. PVA si divide in due gruppi: parzialmente e totalmente idrolizzato.

Il PVA è una polvere bianca o giallo tenue inodore e insapore, solubile in acqua ma non nei solventi organici.

PVA è un polimero termoplastico innocuo e atossico. L’alcol polivinilico è biodegradabile tramite idrolisi, ciò è facilitato dai gruppi idrossilici. Le condizioni per la degradazione avvengono in presenza di ossigeno, in ambienti acquosi e nel sottosuolo.

Proprietà fisiche

Tensione superficiale

Si misura la tensione superficiale di soluzioni acquose di PVA a diverse concentrazioni tramite il tensiometro casalingo.

L’alcol polivinilico mostra una temperatura di transizione vetrosa Tg 85°C ed una temperatura di fusione Tm 230°C.

I dati sono ricavati dal profilo di calorimetria differenziale a scansione DSC

Perdita per essicamento (LOD)

Consiste nella differenza di peso del campione prima e dopo un trattamento termico (riscaldamento in forno) fino a peso costante. La differenza di peso indica l’umidità trattenuta naturalmente dal campione.

Si pesa il campione “asciutto” a temperatura ambiente, si registra il valore (m1). Poniamo in stufa il campione ad una temperatura inferiore a quella di fusione (almeno 20°C in meno).
Si fa raffreddare il campione in essiccatore e si registra il peso, si ripete il ciclo termico fino ad ottenere un valore di peso costante (m2).

LOD = [ (m1 – m2) x 100 ] / m1

Proprietà chimiche

Numero di saponificazione

Uno dei parametri misurabili è il numero di saponificazione, esprime la quantità di base necessaria per saponificare un grammo di campione.

Poniamo 1.0 g di campione in un pallone da 250 mL, aggiungiamo 25 mL di NaOH 0.5 M in etanolo, 25 mL di acqua e qualche pallina di vetro (per controllare l’ebollizione). Attacchiamo un condensatore e mettiamo a riflusso per 30 minuti.
Lasciamo raffreddare a temperatura ambiente ed aggiungiamo qualche goccia di fenolftaleina, titoliamo immediatamente con HCl 0.5 M; segnamo il volume (V1).
Ripetiamo la prova con il bianco (non mettiamo il campione) nelle stesse condizioni; segnamo il volume (V2).

Calcoliamo il numero di saponificazione, S:

S = 40 x (V2 – V1) x (M / W)
dove
40 è la massa molare di NaOH
M è la molarità di HCl
W è la massa del campione in (g)

Grado di idrolisi

Un altro parametro calcolabile è il grado di idrolisi. Convertiamo matematicamente il numero di saponificazione S determinato in precedenza nel seguente modo:

Sdb = (S x 100)/(100 – LOD)
dove
LOD è la perdita per essicamento
S è il numero di saponificazione

Il grado di idrolisi, GI:
GI = 100 – [(7.84 X Sdb )/(100 – (0.075 X Sdb))]

Spettro vibrazionale infrarosso FTIR

Eseguiamo uno spettro vibrazionale infrarosso del campione solido. Mettiamo in un mortaio 1mg di PVA e 300 mg di KBr ed omogeneizziamo tutto. Poniamo la polvere in una pressa pastigliatrice ed infiliamo la pastiglia nello spettrometro IR.

I picchi indicati dallo spettro vibrazionale confermano la presenza di gruppi alcolici OH e di alcuni gruppi residui di C=O. Con l’aumento del grado di idrolisi il picco C=O a 1700 cm-1 diminuisce di intensità.

Con l’analisi dell’alcol polivinilico speriamo di trasmettervi una parte importante quanto quella sintetica di sui si occupa un chimico, la caratterizzazione delle nuove sostanze sintetizzate è una sfida complessa quanto la sintesi…se non più difficile.

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*Makers ITIS Forlì non si assumono alcuna responsabilità per danni a cose, persone o animali derivanti dall’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina. Tutto il materiale contenuto in questa pagina ha fini esclusivamente informativi.

Spettroscopia infrarossa

Spettroscopia infrarossa

La spettroscopia infrarossa è una tecnica di analisi che si basa sull’interazione tra la luce e la materia. Questa tecnica sfrutta una regione dello spettro elettromagnetico compresa tra 2,5 µm e 25 µm degli infrarossi.
La spettroscopia studia l’assorbimento di energia radiativa da parte delle molecole che raggiungono uno stato eccitato.

Modi vibrazionali


L’eccitazione (di spin, elettronica, vibrazionale, ecc…) dipende dalla quantità di energia quindi anche dal tipo di radiazione. In particolare l’IR è associata ad una eccitazione vibro-rotazionale delle molecole. I due principali moti vibrazionali sono lo stretching e il bending.
Lo stretching è la variazione della lunghezza dei legami tra gli atomi mentre il bending è la variazione dell’angolo di legame tra gli atomi. L’energia dei moti di stretching è più alta di quella dei bending.

L’assorbimento di energia molecolare è quantizzato perciò ci aspetteremo uno spettro con delle righe tuttavia la radiazione infrarossa eccita sia livelli vibrazionali che rotazionali (a più bassa energia) perciò lo spettro presenta delle bande.

Interazione luce-materia e variazione del momento di dipolo

Il campo elettrico alternante prodotto dalla variazione della carica elettrica molecolare, accoppia la vibrazione della molecola al campo elettrico oscillante della radiazione.
Sono visibili in uno spettro IR solo vibrazioni che cambiano il momento di dipolo netto della molecola.

In spettroscopia IR si usa il numero d’onda piuttosto che la frequenza perciò bisogna saper convertire le diverse unità di misura della frequenza e dell’energia.

E energia [J]
h cost. Planch [J/m]
c velocità luce [m/s]
T periodo [s]
λ lunghezza d’onda [m]
v frequenza [Hz]
˜ν numero d’onda [cm-1 ]

Energia dei livelli vibrazionali

I livelli energetici si calcolano in modo approssimato secondo il modello dell’oscillatore armonico e della forza di Hooke.

Approssimiamo gli atomi a delle sfere dotate di massa e il legame chimico come una molla perciò la vibrazione legata alla molecola è

v è la frequenza fondamentale di risonanza (numero d’onda)
µ è la massa ridotta che dipende dalla massa degli atomi
k è la costante di forza della molla che dipende dal tipo di legame
c è la velocità della luce

Spettroscopia Raman

La spettroscopia infrarossa non percepisce i moti vibrazionali simmetrici perciò si deve ricorrere ad un’altra tipologia di analisi spettroscopica. Questa tecnica è la spettroscopia Raman, sfrutta la luce diffusa da un campione sottoposto ad un fascio laser incidente.

Strumento*

Lo spettrofotometro ad infrarossi è costituito da vari componenti che dividiamo in blocchi concettuali e rappresentiamo in una filiera strumentale.
Esistono due tipi di spettrofotometri: dispersione e trasformata di Fourier.
Oggigiorno il modello più utilizzato è a trasformata di Fourier (FTIR) in quanto riesce a garantire maggiori prestazioni: risoluzione costante lungo tutto lo spettro, tempi di analisi brevi e alto rapporto segnale/rumore.

La filiera strumentale di uno FTIR è costituita da:

  • sorgente
  • interferometro
  • cella porta campione
  • rivelatore
  • computer

Sorgente

Le sorgenti per spettrofotometri IR sono molteplici e si scelgono valutando lo spettro di emissione, la robustezza operativa e il costo. Le principali sono lampade con filamenti di: carburo di silicio, ossidi fusi, nichel-cromo e tungsteno.

Interferometro

L’interferometro di Michelson è la configurazione di interferometro più utilizzata negli FTIR. Questo apparecchio è costituito da uno specchio semitrasparente che divide un fascio luminoso proveniente dalla sorgente in due fasci secondari di uguale intensità. I due fasci secondari vengono riflessi da due specchi e fatti collimare su uno stesso punto. Uno dei due specchi è mobile e permette di variare la lunghezza del cammino ottico di uno dei due raggi secondari.
L’interferometro permette di convertire lo spettro di emissione della sorgente in un interferogramma perciò non c’è più necessità di dividere il fascio luminoso nelle sue componenti monocromatiche come avviene in uno spettrofotometro a dispersione.
Per monitorare lo spostamento dello specchio mobile si contano le frange di interferenza di un fascio laser He-Ne fatto entrare nell’interferometro parallelamente al fascio della sorgente.

Cella porta campione

Esistono diversi modi per introdurre un campione negli spettrofotometri IR che dipendono dallo stato fisico del campione, dalla composizione chimica e dal costo.

Campione solido

pastiglia:  si mescolano con un mostaio di agata 1mg di campione e 300mg di KBr e si forma una pastiglia con una pasticcatrice a 10Ton per 2 min.
ATR: è una tecnica che sfrutta un particolare inserto che permette di premere il campione solido contro un cristallo tramite un morsetto. Il raggio IR rimbalza ripetutamente tra il cristallo e la superficie del campione per poi rientrare nello strumento.
nujol: si mescola il campione solido con una paraffina ad alto peso molecolare(nujol) e si pone il miscuglio tra due pastiglie di NaCl o AgBr puri (come un sandwich).

Campione liquido

pastiglie: si pone qualche goccia di campione tra due pastiglie di NaCl  o AgBr puri (come un sandwich)
ATR: si pone qualche goccia di campione sul cristallo e si chiude senza serrare il morsetto

Campione gassoso

cella: si spurga una cella per campioni gassosi con un flusso di gas inerte e tramite un sistema pneumatico si introduce il campione gassoso avvinando la cella.

Rivelatore

Esistono vari tipi di rivelatori per spettrofotometri IR, i principali sono: bolometri, termocoppie, cristalli piroelettrici, cella di Golay e semiconduttori. Ognuno di essi viene valutato secondo i tempi di risposta, limite di rivelabilità, costo e molto altro.

Computer

Il ruolo del computer oltre che monitorare, gestire l’ottica e collezionare i segnali dal rivelatore è quello di convertire l’interferogramma in uno spettro attraverso la trasformata di Fourier.
Esistono algoritmi per svolgere questa operazione complessa che hanno permesso in passato di ottenere un risultato in tempi più rapidi come l’algoritmo di Cooley e Tukey.
Il computer restituisce lo spettro sulle periferiche di uscita (monitor e stampante) e può contenere un database con una serie di molecole per eseguire il riconoscimento automatico di molecole comuni, ciò non toglie però che l’operatore deve saper eseguire l’analisi di uno spettro di una sostanza incognita che potrebbe non essere contenuta all’interno della memoria del computer.

Spettri

Gli spettri sono grafici che mostrano la % trasmittanza del campione in funzione della frequenza della radiazione espressa in cm-1
Solitamente gli spettri IR hanno un intervallo di frequenza sull’asse X compreso tra 4000 e 400 cm-1
Per ogni tipologia di gruppo funzionale presente nelle molecole esiste una serie di bande caratteristiche utili ad identificare il campione incognito.

La regione dello spettro compresa tra 400 e 1500 cm-1 è detta delle impronte digitali ed è caratteristica dello scheletro carbonioso di ogni singola molecola. Non esistono molecole diverse tra loro che possiedono la stessa regione delle impronte digitali.

Di seguito sono riportate le principali famiglie di composti organici con le loro bande caratteristiche.

alcani
alcheni
alchini
nitrili
alcoli
acidi carbossilici
aldeidi
chetoni
esteri
eteri
ammine
ammidi
composti aromatici

Molecole complesse saranno costituite dall’insieme delle varie bande tipiche di ogni gruppo funzionale precedentemente mostrate.

Gli intervalli di frequenza delle bande dei vari gruppi funzionali possono variare perché dipendono da molti fattori come la concentrazione del campione, la presenza di isotopi, ecc…
La spettroscopia IR non è sufficiente da sola a identificare la struttura di una molecola incognita perciò deve essere accompagnata da altre tecniche analitiche (HNMR,CNMR e MS), tuttavia è la più veloce per identificare i vari gruppi funzionali di un composto.

spettri scaricati da:
SDBSWeb : https://sdbs.db.aist.go.jp (National Institute of Advanced Industrial Science and Technology,25/12/2020)

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Davide Di Stasio
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Cromatografia

Cromatografia

Nei laboratori di chimica analitica si cerca di separare i componenti da miscele complesse, questo per facilitare le analisi. Le tecniche di separazione sono molte, una di queste è la cromatografia.

La cromatografia fu inventata da botanico Russo Tsvet all’inizio del ‘900, con questa tecnica lo scienziato riuscì a separare la clorofilla da un estratto vegetale di foglie. Tsvet fece macerare la materia vegetale in un solvente a base di etere di petrolio e percolò il solvente attraverso una colonna riempita di polvere di gesso anidra. Con il passare del tempo questa nuova tecnica separativa fu introdotta in tutti i laboratori chimici ed oggi sono state sviluppate numerose tecniche cromatografiche differenti che permettono di separare le sostanze in base a svariate proprietà chimico-fisiche.

La cromatografia si basa sulla diversa affinità di un analita per una fase stazionaria ed una fase mobile. Se si prende una miscela di analiti trasportati da una fase mobile attraverso una fase stazionaria i componenti di questa miscela percorreranno la fase stazionaria in tempi diversi, questi tempi vengo denominati tempi di ritenzione. Maggiore sarà l’affinità di un componente per la fase stazionaria e maggiore sarà il suo tempo di ritenzione. Esistono vari tipi di cromatografia e queste possono essere classificate in base ai processi di separazione o allo stato fisico della fase mobile impiegata.

I principali processi di separazione sono quattro:

    • adsorbimento
    • ripartizione
    • scambio ionico
    • esclusione dimensionale

Lo stato fisico della fase mobile può essere liquido o gassoso. Inoltre possiamo fare un’ulteriore discriminazione In base allo stato fisico della fase stazionaria, essa potrà essere liquida o solida.

Cromatografia

Un esempio di cromatografia liquido-liquido è la cromatografia su carta.

Come mai la cromatografia su carta (che sfrutta un supporto solido) dovrebbe avere una frase stazionaria liquida?

Perché la carta contiene una percentuale di umidità che compone la vera e propria fase stazionaria mentre la cellulosa funge da impalcatura.

Per saperne di più e vedere qualche esperimento* sulla cromatografia guardate il video

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Apparecchio per il punto di fusione

Apparecchio per il punto di fusione

L’apparecchio per il punto di fusione è uno strumento tra i più economici in un laboratorio di chimica organica che permettono l’analisi di sostanze. Questo apparecchio permette di determinare la temperatura di fusione dei campioni presi in esame. Il tipo di analisi svolta è distruttivo perciò il campione non potrà essere recuperato, inoltre la sostanza incognita deve essere allo stato solido e privo di solventi o umidità. In un laboratorio casalingo non potrà certo mancare uno strumento di così facile costruzione in grado di restituire l’analisi dei prodotti sintetizzati.

Costruiamo il nostro strumento

interno dello strumento

Lo strumento è costruito interamente da materiale di riciclo ciò significa che ogni persona che volesse riprodurre* questo lavoro è libera di usare oggetti differenti da quelli descritti, sempre rispettando la compatibilità elettrica tra il vari componenti.

Lo strumento è composto da quattro componenti principali:

        • termometro digitale (TMAX almeno 200 °C)
        • saldatore elettrico per stagno (30 W)
        • varialuce SCR (2000 W)
        • blocco di alluminio portacampioni

Termometro digitale

Il termometro digitale utilizzato nel progetto ha una risoluzione di 0,1 °C e sfrutta una termocoppia di tipo K in grado di raggiungere temperature elevate senza alcun problema. Il diametro della sonda è 1.5 mm perciò è in grado di entrare perfettamente in un foro da 2 mm. 

Blocco portacampioni

blocco portacampioni

Il blocco è ricavato da un tondino di alluminio lavorato secondo il progetto posto a lato. I tre fori superiori da 2,5 mm serviranno per contenere i capillari portacampioni, il foro da 2 mm servirà per contenere la punta del termometro (diametro variabile a seconda del termometro), il foro da 15 mm permetterà la visione dei capillari durante l’esperimento. A seconda del diametro della punta del saldatore utilizzato si modificherà anche il diametro del foro laterale passante da 5 mm. Per la lavorazione del tondino saranno necessari: lima, trapano con punte per metallo, seghetto per metalli e lubrificante da taglio.

Saldatore elettrico

Il saldatore svolgerà il ruolo dell’elemento riscaldante trasmettendo il calore al blocco di alluminio. Si innesta la punta dentro al blocco portacampioni e si collega l’alimentazione in serie al varialuce SCR. 

Varialuce SCR

Collegato in seria all’alimentazione dell’intero strumento il varialuce svolgerà il compito di moderatore di potenza regolando la velocità di riscaldamento e la temperatura massima raggiunta.

Si completa lo strumento inserendo tutti i componenti in un contenitore resistente alle alte temperature,  con una lente di ingrandimento ed una lampadina che permetteranno una più semplice osservazione dei campioni. Si può aggiungere una ventola da computer che verrà accesa dopo la conclusione dell’esperimento permettendo un raffreddamento più rapido dell’apparecchio.

Eseguire le letture

fusione del campione

Solitamente si riporta un range di temperatura di 1-2 °C per le sostanze pure, il punto di inizio della fusione corrisponde all’aggregazione delle prime goccioline di liquido sul fondo del capillare mentre la fine della fusione corrisponde alla completa scomparsa della fase solida. Campioni che presentano delle impurità avranno un range di fusione più ampio e una temperatura di fusione inferiore a quella teorica.

Per verificare se un campione incognito coincide con una sostanza standard si può procedere nel seguente modo:

    • miscelare in parti uguale la sostanza incognita con lo standard
    • riempire 2-3 mm un capillare con la miscela ottenuta
    • misurare il punto di fusione

Se il campione coincide con la sostanza standard si misurerà una temperatura di fusione uguale a quella teorica dello standard ed un range di temperatura ristretto, se le due sostanze sono differenti si misurerà una temperatura inferiore a quella teorica dello standard e un range di fusione largo.

Calibrazione dello strumento

Per calibrare lo strumento si impiegano i seguenti standard (opportunamente purificati) reperibili in casa:

  •  

Per correlare la temperatura letta con quella teorica si ricorre ad una retta di calibrazione con il metodo dei minimi quadrati (mediante Foglio di calcolo elettronico).

Con questo noi maker vi proponiamo il nostro apparecchio per il punto di fusione con materiale di riciclo.

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